martedì 11 ottobre 2016

RICORDO DI GENNAIO.

La fantasia nasce dalla realtà.
Spesso si dimentica che la realtà supera sempre, per sua natura, la fantasia più sfrenata.
E sono Parole.
Nell’aria.
Che ti colpiscono e ti entrano dentro.
E da una parola altre parole, che creano un concetto, una situazione, un evento.
Creano un’anima.
Immersa in momenti di vita.
Concetti banali tu dici, ma solo perché ascolti senza sentire.
Senza capire che è ciò che resta delle scaglie di una vita qualsiasi.

Sono Ritratti dell’Anima.

RICORDO DI GENNAIO
Un peccato del mattino.

“Mo che ora è!?” si chiese non appena l’occhio sinistro, l’unico aperto ed ancora appannato, spaziava nella camera da letto. Il destro non tardò molto a venire in soccorso del collega. Ecco: con entrambi in funzione la stanza diventava sempre più nitida, a fuoco. Lentamente tutto il resto del corpo si stava risvegliando, solo le gambe sembrava non ne avessero gran che voglia fingendo di non essersi accorte della fine del sonno.
“Me fai veda che ora è!” ripetè tra sé e sé il sessantaduenne, cercando a tastoni l’orologio da polso finito da qualche parte, confuso tra le cose che si lasciano sul comodino ogni sera, prima di coricarsi
Di fianco a lui l’altra persona dormiva.
Incurante. Se si fosse svegliata sarebbe passata dall’incuranza all’insofferenza; ma non si svegliò, neppure al rumore prodotto dalla complessa ricerca dell’orologio.
Le undici e tre quarti.
Del mattino, a giudicare dalla luce che entrava nella stanza.
“Oh cas! E cum’è ch’è daxì tardi?”
Era evidente che la parte di cervello, deputata alla gestione della memoria, non aveva ancora preso servizio. Restò un attimo con l’orologio in mano, guardandolo con aria interrogativa.
“Ah già! Ieri sera era l’ultim d’l’ann! Ecc perché stamatina è daxì tardi”
Rimise (quasi gettò) l’orologio dove l’aveva preso e risistemò il braccio sotto le coperte.
“Ieri sera era l’ultim d’l’ann; e già, el cenòn, i’amic, el vin, la grappa, la musica, el ball… e pu’ gli auguri, i bac, la lenticchia… eh, i’auguri. De quei n’avrìa b’sogn ‘na quintalata!”
La stanza sembrava più ostile del solito; non era più l’alcova di un tempo perché  aveva preso le connotazioni di una camera d’albergo, dove ognuno di loro due gettava gli indumenti prima, ed i corpi poi. Tutto era rigorosamente alla rinfusa, quasi come se, rientrando a casa, entrambi fossero rimasti indispettiti dal doverlo fare.
“Sensa de lia en me so’ divertìt per nient! Mo cum faceva a purtalla de dietra? Ancora non se pòl, ce vòl pasiensa; mo quanta?”
L’altra, al suo fianco, continuava a dormire. Ricordò di non averla sentita rientrare; evidentemente era rincasata più tardi.

“Mo j a che ora so’ ar’nùt? Dònca aspetta… le tre? O le quattre? E pu cu gambia? Nient, en gambia  nient”-
Come risveglio nella prima giornata dell’anno non era proprio male!
Dove fosse stato la sera prima e con chi, costituiva un dettaglio così irrilevante che la memoria aveva deciso di non mantenerlo nella rete neuronica. Era uscito, aveva mangiato, bevuto… forse ballato. O era rimasto sempre da solo?
“So’ ar’mast da per me tra mès tutta c’la gent” gli venne spontaneo pensare.
Lontano si sentì la sirena di una ambulanza e, subito dopo, dall’appartamento contiguo filtrarono le note della sigla televisiva di quella che una volta chiamavano “Eurovisione”.
“C’è el cuncert del prim d’l’ann, da Vienna; e pensà che me piaceva tant!”
La sigla tacque e nel silenzio ritornò, assordante, il mormorio del respiro di chi gli dormiva accanto.
Girò la testa, lentamente, verso la moglie.
La guardò.
Il viso di lei aveva perso l’abituale tono severo della veglia, ma due piccole rughe, posizionate attorno alla bocca semiaperta, tradivano una non lieve tensione interiore.

“Però” pensò il sessantaduenne prima di riprendere sonno “che pecat!".

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