La fantasia nasce dalla realtà.
Spesso si dimentica che la realtà supera
sempre, per sua natura, la fantasia più sfrenata.
E sono Parole.
Nell’aria.
Che ti colpiscono e ti entrano dentro.
E da una parola altre parole, che creano
un concetto, una situazione, un evento.
Creano un’anima.
Immersa in momenti di vita.
Concetti banali tu dici, ma solo perché
ascolti senza sentire.
Senza capire che è ciò che resta delle
scaglie di una vita qualsiasi.
Sono Ritratti dell’Anima.
RICORDO DI GENNAIO
Un peccato del mattino.
“Mo che ora
è!?” si chiese non appena l’occhio sinistro, l’unico aperto ed ancora
appannato, spaziava nella camera da letto. Il destro non tardò molto a venire
in soccorso del collega. Ecco: con entrambi in funzione la stanza diventava
sempre più nitida, a fuoco. Lentamente tutto il resto del corpo si stava
risvegliando, solo le gambe sembrava non ne avessero gran che voglia fingendo
di non essersi accorte della fine del sonno.
“Me fai veda
che ora è!” ripetè tra sé e sé il sessantaduenne, cercando a tastoni l’orologio
da polso finito da qualche parte, confuso tra le cose che si lasciano sul
comodino ogni sera, prima di coricarsi
Di fianco a
lui l’altra persona dormiva.
Incurante. Se
si fosse svegliata sarebbe passata dall’incuranza all’insofferenza; ma non si
svegliò, neppure al rumore prodotto dalla complessa ricerca dell’orologio.
Le undici e
tre quarti.
Del mattino,
a giudicare dalla luce che entrava nella stanza.
“Oh cas! E
cum’è ch’è daxì tardi?”
Era evidente
che la parte di cervello, deputata alla gestione della memoria, non aveva
ancora preso servizio. Restò un attimo con l’orologio in mano, guardandolo con
aria interrogativa.
“Ah già! Ieri
sera era l’ultim d’l’ann! Ecc perché stamatina è daxì tardi”
Rimise (quasi
gettò) l’orologio dove l’aveva preso e risistemò il braccio sotto le coperte.
“Ieri sera
era l’ultim d’l’ann; e già, el cenòn, i’amic, el vin, la grappa, la musica, el
ball… e pu’ gli auguri, i bac, la lenticchia… eh, i’auguri. De quei n’avrìa
b’sogn ‘na quintalata!”
La stanza
sembrava più ostile del solito; non era più l’alcova di un tempo perché aveva preso le connotazioni di una camera
d’albergo, dove ognuno di loro due gettava gli indumenti prima, ed i corpi poi.
Tutto era rigorosamente alla rinfusa, quasi come se, rientrando a casa,
entrambi fossero rimasti indispettiti dal doverlo fare.
“Sensa de lia
en me so’ divertìt per nient! Mo cum faceva a purtalla de dietra? Ancora non se
pòl, ce vòl pasiensa; mo quanta?”
L’altra, al
suo fianco, continuava a dormire. Ricordò di non averla sentita rientrare;
evidentemente era rincasata più tardi.
“Mo j a che
ora so’ ar’nùt? Dònca aspetta… le tre? O le quattre? E pu cu gambia? Nient, en gambia nient”-
Come
risveglio nella prima giornata dell’anno non era proprio male!
Dove fosse
stato la sera prima e con chi, costituiva un dettaglio così irrilevante che la
memoria aveva deciso di non mantenerlo nella rete neuronica. Era uscito, aveva
mangiato, bevuto… forse ballato. O era rimasto sempre da solo?
“So’ ar’mast
da per me tra mès tutta c’la gent” gli venne spontaneo pensare.
Lontano si
sentì la sirena di una ambulanza e, subito dopo, dall’appartamento contiguo
filtrarono le note della sigla televisiva di quella che una volta chiamavano
“Eurovisione”.
“C’è el
cuncert del prim d’l’ann, da Vienna; e pensà che me piaceva tant!”
La sigla
tacque e nel silenzio ritornò, assordante, il mormorio del respiro di chi gli
dormiva accanto.
Girò la
testa, lentamente, verso la moglie.
La guardò.
Il viso di
lei aveva perso l’abituale tono severo della veglia, ma due piccole rughe,
posizionate attorno alla bocca semiaperta, tradivano una non lieve tensione
interiore.
“Però” pensò
il sessantaduenne prima di riprendere sonno “che pecat!".
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