RICORDO di
SETTEMBRE
L’odore del mare.
“Tante èn
stàt le volt che c’sia gìt, che dop en hai più voja… a setember… d’gì al mar.
La sera è fredd, el giorn el sol en scalda più cum prima, e pu… gambia l’udòr,
l’udòr del mar”
“In meglio o
in peggio?”
Fermi in
colonna sull’autostrada, due uomini chiacchieravano attraverso i finestrini
delle loro auto. Erano capitati lì, affiancati, solo perché il caso si era
preso la briga di scegliere loro due, perfetti sconosciuti, accomunandoli in
una fastidiosa sosta, a motivo di un malaugurato cambio di corsia.
La domanda
stupì il fanese. L’occasionale compagno di sventura non solo ascoltava quello
che lui pensava ad alta voce, ma addirittura capiva il dialetto.
E’ noto che
puoi trovare uno di Fano anche in mezzo al deserto del Sahara e nei momenti più
impensati, ma a lui questo pareva proprio di non averlo mai visto prima. Un
forestiero? O piuttosto la mente gli fallava e quella persona la conosceva
benissimo? Il quesito non lo tormentò più di tanto.
“Cu t’ho da
dì…” continuò sicuro di essere capito “E’ diferènt…; vedi: d’inverne el mar en
udora, a men che en faccia strasordìn e alora senti a nì su l’udòr del pesc,
d’le algh, d’la ligara…tutt insiem, tutt mischiàt. Qualcun dic che è ‘na pussa,
no un udòr; specialment i ragass la pensèn daxì. D’estat… bhè d’estat c’è un
altre udòr: bell, delicàt, leger cum 'na piuma, e che a la sera… è 'na
madunina! A la sera d’venta propri special”
L’altro
guardava, incuriosito ed attratto nello stesso istante. Con le mani ferme
sull’inutile volante lo guardava senza parlare, senza far trasparire dal volto
il seppur minimo segno di impazienza, né di esagerata attenzione.
Il fanese, da
parte sua, aveva approfittato della breve pausa tra i suoi pensieri ad alta
voce per cercare di ricordare che targa avesse l’auto del vicino: “C’è casi che
sia d’le part noster” pensò prima di aggiungere, deluso, “Mo tant sa’ le targ
de adess en se capisc più nient; va’ a sapè”
“J ho
sesantatrè ann” riprese “so nat al mar e viv al mar, anca si en so’ mai gìt in
mar… imbarcàt, vòi dì.”
Lo guardò un
attimo per essere convinto che l’altro seguisse il concetto. Seguiva
perfettamente.
“En el so’
perché, mo si me levi el mar me levi tutt. J c’i’ho moi, fioi, nipòt… e ho
semper pensàt che el mar, el rumor del mar, c’i’ha t’nùti semper insiem.
Insomma… vòi di’… si en fussa el mar che ce tien uniti, no’ ce sparpajàn da
tutt le part. Quest v’leva dì”
La colonna di
auto si spostò in avanti di qualche metro, sufficiente per interrompere il
flusso dei pensieri. Lo sconosciuto interlocutore avanzò con la sua, badando
bene di rimanergli affiancato.
“A setember
el mar gambia anca de culor. Dic’ne : e per forsa! Gambia el culor del ciel! En
è vera nient! Gambia el culor per cont sua, el ciel en c’entra nient! El mar
sembra d’ventà… cum t’ho da dì… … men amic… Insomma: in agost te sembra un
amic, mo a setember no… a par incasàt sa qualcò o sa qualcùn!”
“A setember”
continuò dopo una breve pausa e con gli occhi persi, per veder meglio il suo
pensiero “i gabiàn volèn più bassi, a le volt vien’ne a riva, perché en c’èn
più i bagnant che i romp’ne i cuoòn. I bagnìn ar’mett’ne a post le sdràj e
i’umbrelòn menter da per tutt c’è n’aria de smobilitasiòn. I vecchi artorn’ne
padroni d’le panchìn e d’le pasegiàt… i vecchi… quei c’l’han sfangata durant
l’estàt.”
Gli ci volle
un attimo di riflessione prima di continuare “Qualcun ar’và al mar per
arcurdass mej de qualcò che c’i’ha a che fa’ sa la stagion ch’è f’nita. A le
volt, tra mès ai ricord, trova qualcò de bell; a le volt ar’torna a casa pegg
de prima perché de tutt quell c’aveva da succeda… en è sucess nient!”
Finalmente la
colonna di auto cominciò a dar segni di ripresa e lentamente centinaia e
centinaia di ruote di ogni foggia e dimensioni si rimisero a girare.
Fu in quel
momento che lo strano e sconosciuto interlocutore gli parlò, ma era difficile
ascoltarlo impossibilitati com’erano di restare affiancati. Ognuno riprendeva
il proprio solitario, nevrotico, inutile cammino verso una meta che non
rappresentava null’altro che il punto di partenza verso un’altra meta,
destinata anch’essa a venir inanellata tra le cose agognate quanto inutili
dell’esistenza.
Il fanese non
era sicuro di aver capito bene, non era certo se aveva inteso veramente o se il
cervello si era arrogato il diritto di aggiungere, tagliare ed aggiustare le
frasi spezzettate che l’ormai lontano automobilista gli stava rivolgendo.
“A settembre
le rondini sanno di dover ripartire. Volano verso il nido con l’intento di
fermarsi, ma non lo fanno. Nulla le attira più lì come accadeva il mese
precedente; il compito assegnato è stato portato a termine mentre se ne prepara
un altro, ma riguarda il futuro. Le vedi volare decise ed ansiose verso il
cornicione, poi… poi basta loro il tempo di controllare che tutto sia in ordine
e… volano via. Senza sapere se torneranno.”
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