martedì 6 dicembre 2016

RICORDO DI SETTEMBRE

RICORDO di SETTEMBRE
L’odore del mare.

“Tante èn stàt le volt che c’sia gìt, che dop en hai più voja… a setember… d’gì al mar. La sera è fredd, el giorn el sol en scalda più cum prima, e pu… gambia l’udòr, l’udòr del mar”
“In meglio o in peggio?”
Fermi in colonna sull’autostrada, due uomini chiacchieravano attraverso i finestrini delle loro auto. Erano capitati lì, affiancati, solo perché il caso si era preso la briga di scegliere loro due, perfetti sconosciuti, accomunandoli in una fastidiosa sosta, a motivo di un malaugurato cambio di corsia.
La domanda stupì il fanese. L’occasionale compagno di sventura non solo ascoltava quello che lui pensava ad alta voce, ma addirittura capiva il dialetto.
E’ noto che puoi trovare uno di Fano anche in mezzo al deserto del Sahara e nei momenti più impensati, ma a lui questo pareva proprio di non averlo mai visto prima. Un forestiero? O piuttosto la mente gli fallava e quella persona la conosceva benissimo? Il quesito non lo tormentò più di tanto.
“Cu t’ho da dì…” continuò sicuro di essere capito “E’ diferènt…; vedi: d’inverne el mar en udora, a men che en faccia strasordìn e alora senti a nì su l’udòr del pesc, d’le algh, d’la ligara…tutt insiem, tutt mischiàt. Qualcun dic che è ‘na pussa, no un udòr; specialment i ragass la pensèn daxì. D’estat… bhè d’estat c’è un altre udòr: bell, delicàt, leger cum 'na piuma, e che a la sera… è 'na madunina! A la sera d’venta propri special”
L’altro guardava, incuriosito ed attratto nello stesso istante. Con le mani ferme sull’inutile volante lo guardava senza parlare, senza far trasparire dal volto il seppur minimo segno di impazienza, né di esagerata attenzione.
Il fanese, da parte sua, aveva approfittato della breve pausa tra i suoi pensieri ad alta voce per cercare di ricordare che targa avesse l’auto del vicino: “C’è casi che sia d’le part noster” pensò prima di aggiungere, deluso, “Mo tant sa’ le targ de adess en se capisc più nient; va’ a sapè”
“J ho sesantatrè ann” riprese “so nat al mar e viv al mar, anca si en so’ mai gìt in mar… imbarcàt, vòi dì.”
Lo guardò un attimo per essere convinto che l’altro seguisse il concetto. Seguiva perfettamente.
“En el so’ perché, mo si me levi el mar me levi tutt. J c’i’ho moi, fioi, nipòt… e ho semper pensàt che el mar, el rumor del mar, c’i’ha t’nùti semper insiem. Insomma… vòi di’… si en fussa el mar che ce tien uniti, no’ ce sparpajàn da tutt le part. Quest v’leva dì”
La colonna di auto si spostò in avanti di qualche metro, sufficiente per interrompere il flusso dei pensieri. Lo sconosciuto interlocutore avanzò con la sua, badando bene di rimanergli affiancato.
“A setember el mar gambia anca de culor. Dic’ne : e per forsa! Gambia el culor del ciel! En è vera nient! Gambia el culor per cont sua, el ciel en c’entra nient! El mar sembra d’ventà… cum t’ho da dì… … men amic… Insomma: in agost te sembra un amic, mo a setember no… a par incasàt sa qualcò o sa qualcùn!”
“A setember” continuò dopo una breve pausa e con gli occhi persi, per veder meglio il suo pensiero “i gabiàn volèn più bassi, a le volt vien’ne a riva, perché en c’èn più i bagnant che i romp’ne i cuoòn. I bagnìn ar’mett’ne a post le sdràj e i’umbrelòn menter da per tutt c’è n’aria de smobilitasiòn. I vecchi artorn’ne padroni d’le panchìn e d’le pasegiàt… i vecchi… quei c’l’han sfangata durant l’estàt.”
Gli ci volle un attimo di riflessione prima di continuare “Qualcun ar’và al mar per arcurdass mej de qualcò che c’i’ha a che fa’ sa la stagion ch’è f’nita. A le volt, tra mès ai ricord, trova qualcò de bell; a le volt ar’torna a casa pegg de prima perché de tutt quell c’aveva da succeda… en è sucess nient!”
Finalmente la colonna di auto cominciò a dar segni di ripresa e lentamente centinaia e centinaia di ruote di ogni foggia e dimensioni si rimisero a girare.
Fu in quel momento che lo strano e sconosciuto interlocutore gli parlò, ma era difficile ascoltarlo impossibilitati com’erano di restare affiancati. Ognuno riprendeva il proprio solitario, nevrotico, inutile cammino verso una meta che non rappresentava null’altro che il punto di partenza verso un’altra meta, destinata anch’essa a venir inanellata tra le cose agognate quanto inutili dell’esistenza.
Il fanese non era sicuro di aver capito bene, non era certo se aveva inteso veramente o se il cervello si era arrogato il diritto di aggiungere, tagliare ed aggiustare le frasi spezzettate che l’ormai lontano automobilista gli stava rivolgendo.
“A settembre le rondini sanno di dover ripartire. Volano verso il nido con l’intento di fermarsi, ma non lo fanno. Nulla le attira più lì come accadeva il mese precedente; il compito assegnato è stato portato a termine mentre se ne prepara un altro, ma riguarda il futuro. Le vedi volare decise ed ansiose verso il cornicione, poi… poi basta loro il tempo di controllare che tutto sia in ordine e… volano via. Senza sapere se torneranno.”


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