martedì 29 novembre 2016

RICORDO DI AGOSTO

RICORDO di AGOSTO
Storia semplice di un ragazzo matto.

Che gìssa semper in bicicletta, d’estàt e d’inverne, el sapev’ne tutti; mo chi fussa verament… en l’ha sapùt mai nisciùn.
Quel ragazzotto poteva avere… diciotto? vent’anni? … Pantaloni alla zuava, basco in testa, qualche pelo di barba nonostante l’età, era comunque piuttosto grandicello per passare tutto il suo tempo a gironzolare in biciletta, quando ormai i suoi coetanei lavoravano tutti, o studiavano all’università.
E le idee erano vaghe anche su chi fossero i genitori, o forse -e più semplicemente- nessuno se lo era mai domandato con l’intento di ottenere una risposta esaustiva. Tanto che importava? Non dava mica fastidio a qualcuno! 
Capitava di vederlo  anche  nei posti meno comuni: sulla salita delle Caminate, sulle strade strette e sterrate di Roncosanbaccio,  lungo lo stradone di cemento che dalla rotonda arrivava al porto  costeggiando la spiaggia della Sassonia… ma qui solo d’inverno, quando non c’erano i bagnanti. A scuola? E chissà se c’era mai stato! Probabilmente non ne aveva avuto il tempo, preso com’era a pedalare con la testa tra le nuvole, le sue nuvole private.
Anche in agosto, col caldo che asfissiava e tagliava le gambe, lui pedalava; in salita e in discesa, sull’asfalto in pianura e gli sterrati in campagna.
E cantava, e sognava.
En fischiava mai, cantava.
Non a squarciagola, per carità, lo faceva pian piano, tra sé e sé, e dovevi proprio farci caso per capirlo, ma certamente aveva sempre in mente una canzone, quasi come se potesse pedalare solo cantando, o viceversa.
Fano, alla fine degli anni cinquanta, non era poi tanto grande e capitava che qualche anziano lo vedesse passare più d’una volta al giorno, ed allora non mancava di sottolineare l’incontro guardandolo in faccia e facendo roteare un dito vicino alla tempia, per significargli “Te, carin mia, en c’hai tutt le rutell per el vers giust!”. Ma lui non lo vedeva: leggeri movimenti delle labbra al seguito di una canzone erano il suo unico impegno, mentre appoggiava le mani sul manubrio che ai suoi occhi si era trasformato in un grosso volante, come quelli di un camion, o di un autobus.
Ed era così che, tra le nuvole dove viaggiavano i suoi pensieri, si immergeva in un suo sogno privato-privatissimo:  quello di poter guidare uno di quei grossi pulman pieni di gente che ammirava la sua maestria di autista provetto nel prender le curve più strette, imbucare i passaggi più ostici… Lui, lui, portava in gita i turisti di tutte le nazioni in tutte le nazioni del mondo; gente di ogni colore, con gli idiomi più strani e i vestiti più inusuali , passeggeri che lo amavano perché era bravo, oltre che indispensabile come lo è un autista quando si è in gita, per l’appunto.
Ma le gite finivano prima o poi, e la gente scendeva dimenticandosi presto dell’uomo fermo in piedi appena fuori la portiera del pulman che li salutava con ossequio. Oh, questo sarebbe accaduto ogni volta, e lui sapeva che lo avrebbero dimenticato presto! Ma aveva un antidoto: un mantra illuminante che andava ripetendosi ogni fine gita: “E cu m’importa! Finchè er’ne sopra s’incugev’ne de me. J c’era ed impurtant, per lora!”.
Così, nel sogno e nella vita, mentre gli altri vivevano per sé, lui viveva per gli altri.
Già.
Ma lui era speciale, unico.
Che gìssa semper in bicicletta, d’estàt e d’inverne, el sapev’ne tutti; mo chi fussa verament… en l’ha sapùt mai nisciùn.
E lu’ manca l’ha mai ditt.





lunedì 28 novembre 2016

SE...

Se chiudi gli occhi
e vedi un aquilone che vola...
pensi di tornare bambino
con i sogni che ti portano
lontano, lontano.
Se apri gli occhi
e vedi un fuoristrada
che ti viene incontro
e quasi ti investe
perchè il pilota sta parlando
al cellulare ridendo 
come un idiota...
pensi che il mondo
meriti un diluvio universale.
Se lei ti guarda e ti sorride...
pensi che val la pena
sopportare anche gli idioti
perchè tanto prima o poi,
 si elimineranno da soli.
...forse...




martedì 22 novembre 2016

RICORDO DI LUGLIO

RICORDO di LUGLIO
Ferdinando Torretti, nome di fantasia

En ce vedeva un cas!
En v’deva da machì a malì; en v’deva un pajar da do’ meter !
I’uchiaj en i v’leva purtà e i t’neva semper in t’le sacocc, perché, diceva, i stav’ne mal. E daxì en ce v’deva manca per bestemià, prò caminava caminava spedìt, cum si nient fussa, cum un cristian nurmal; mo lu en era nurmal, lu aveva propri b’sogn de ch’i’uchiaj sa le lent daxì spess che parev’ne i fanaj d’un camion.
Spess e volentieri inciampava o sbatèva contra qualcun, e ogni volta chiedeva scusa ma tutti, anca ma’ i lampion! Daxì aveva decìs de fa semper la stessa strada, perché l’aveva imparata a memoria. Mo se, per cas, c’era un scatulòn per terra, o el camiuncìn del panetier parchegiàt malì, alora si che i dava 'na sardella de c’le bell! E subìt bestemmiava, bestemmiava brutt, anca si en ce v’deva manca per fa’ quell.
Da Biozzi c’era stàt ‘na volta sola, quand s’era incòt del difèt. Mo quand’era de dentra l’ambulatori d’l’oculista, per sbài aveva spustàt un sgabell e quell l’aveva sbatùt fora senza visitàl e senza manca chieda i sold.
Ogni tant bucava de dentra da Da Ros a chieda si pudeva metta c’le lent che se tac’ne dentra i’occhi, e Luciano i’ rispundeva che el problema sua -si propri en v’leva purtà i’uchiaj- se risulveva gambiànd i’occhi. Mo lù en c’i’armaneva mal; in fond en è che i’impurtassa più de tant.
E daxì diceva ma tutti che i’uchiaj i’ stav’ne mal, e manca ce v’deva un cas!
Mo nisciùn sapeva che de dentra casa le lent le purtava: era d’fora che preferiva a veda el mond tutt sfucàt, tutt macchi culuràt e senza cuntòrn, sensa righ né quadrett; le lampadìn che parev’ne c’le stell de Natal fatt sa la stagnola, la funtana d’piassa un tutt’un grig... per lù el mond era mej daxì, senza tanta precisiòn, sensa tant robb che pudev’ne fa creda che tutti capisc’ne tutt e tutti polèn cuntralà agnicò.
Per lù era mej un mond daxì, apena disegnàt; a tutt el rest ce pensava la fantasia sua.







sabato 19 novembre 2016

SENZA RUMORE...

Passa il tempo
senza far rumore
ed è per questo
che non ci accorgiamo
quando ci sfiora
 ci supera 
e poi si allontana
per andare chissà dove.
Fanno chiasso,invece,
i miei pensieri,
i miei sogni,
il cuore che batte forte
inseguendo nuvole
che sfiorano le mie dita
e sembrano i tuoi capelli
mossi dal vento.



giovedì 17 novembre 2016

AVEVA UN FIORE TRA I CAPELLI

Teneva sempre un fiore
tra i capelli
e amava la vita.
Camminava a passi lenti
con andatura provocante
sorrideva 
non si sa bene a chi
i suoi occhi
bellissimi e chiari
sapevano essere dolci
ma anche cattivi se era
arrabbiata.
Teneva sempre un fiore
tra i capelli
aveva tanti amici
e nessun amico
tante amiche
e nessuna amica
ma sapeva dare
tutta se stessa
nelle passioni del cuore.
Andava contro corrente
per carattere 
e non per posa
ed era odiata per questo
dalle altre ragazze.
Parlava con una voce
leggermente roca
  sensuale e pura
e non gridava mai,
le bastava uno sguardo
 per farsi capire.
Quando tutte le ragazze
andavano in bicicletta
lei usava la moto
che sapeva pilotare
con abilità.
Ma non in quella occasione...
ed il fiore cadde a terra.
Per sempre.


martedì 15 novembre 2016

RICORDO DI GIUGNO

RICORDO di GIUGNO
“Super Inox Bolzano”

Assomigliava curiosamente a Nicolò Carosio, nella voce e nelle fattezze.
Non si sa quanto fosse alto, perché non usciva mai dalla Fiat Topolino. Svolgeva il proprio lavoro stando seduto in auto con un microfono davanti alla bocca, tenuto fermo con un ingegnoso sistema a molle; sopra vi aveva posto un fazzoletto bianco, per evitare che la saliva rovinasse la fragile membrana.
Un microfono.
Come Nicolò Carosio.
Appunto.
Ogni sabato, e c’era il mercato, un bambino si fermava a guardare quello strano negozio semovente fatto con un plaid di lana steso sul cofano e sopra, in meticoloso ordine, lamette da barba, sapone, pennelli e rasoi di sicurezza. Sulla capote campeggiava un glorioso altoparlante Radio Marelli e sotto, seduto al posto di guida -vestito con un impeccabile completo, baffi curatissimi e voce di tonalità bassa- c’era lui, il simil-Nicolò Carosio. Invitava tutti a comperare le lamette della “Super Inox Bolzano” che, aggiungeva con puntigliosa competenza “sono le uniche a garantire mille rasature, tutte perfette”.
Super Inox Bolzano: colui aveva anche il pregio di non essere esterofilo!
L’auto lentamente si spostava facendosi largo tra la gente, quasi tutta di estrazione contadina, che animavano il mercato del sabato. I capoccia venivano da soli, spesso col motorino; le donne arrivavano in gruppo e con la bicicletta, la stessa che al ritorno quasi scompariva sotto il carico di enormi pacchi di merce comperata.
La difficoltà nel progredire non lo irritava affatto l’uomo della Super Inox Bolzano perché sapeva bene che l’andatura lenta favoriva l’acquisto. Gli uomini si fermavano, sceglievano la merce esposta sul cofano dell’auto e poi si chinavano verso il finestrino, con gli spiccioli in mano. Lui riscuoteva e ringraziava, senza staccare mai il microfono dalla bocca, cosicché tutti potevano ascoltare anche i minimi particolari della transazione.
Ah, dimenticavo: non si contrattava. Anche se non lo diceva, con lui i prezzi erano fissi.
Il bimbo non capiva cosa l’attirasse di più: l’auto? L’altoparlante? La merce in vendita? … o piuttosto lui, il Nicolò Carosio della situazione? Capiva solo che qualsiasi gioco stesse facendo doveva interrompersi, per andare a vedere quello della “Fiat Topolino” o, forse, per ascoltare la sua magica voce da basso lirico, mentre scherzava all’insegna di una commessa che passava veloce o discuteva, con un compratore un po’ tardo in matematica, circa la precisione del resto in danaro che gli aveva appena consegnato.
Solo quando pioveva l’uomo della Fiat Topolino non veniva al mercato, ed allora il bambino si chiedeva dove potesse essere andato, quel giorno.
Chissà: forse è ancora lì che aspetta il bel tempo, per tornare negli occhi del bambino.




venerdì 11 novembre 2016

UN PASSAGGIO

Dice:" mi dai un passaggio?"
" Un passaggio per andare dove?"
" Non so...non ho le idee chiare,
voglio solo allontanarmi da qui".
" Ma non sai neanche dove vado,
forse percorro solo pochi metri"
"Pochi metri, molti metri, chilometri,
non è la distanza che conta..
fammi salire e andiamo".
Vedi cadono le foglie,
il vento le fa volare
 e le posa lontano,
anche loro hanno chiesto
un passaggio.
Forse anch'io sono una foglia
che ha voglia solo di dimenticare.

martedì 8 novembre 2016

UNO SCHERZO...TRINCIATO FORTE

Molti, molti anni fa, in una cittadina che non è  ASSOLUTAMENTE Fano.
Proprio nel mese di novembre quando dagli alberi cadono le foglie  morte a tonnellate.

Amici da sempre e colleghi ,due birbanti trentenni non  si lasciano scappare l'occasione di fare uno scherzo " forte" ad un giovane appena assunto dalla pubblica amministrazione per fare il segretario tuttofare ad un importante assessore.
I due aspettano che la vittima sia sola nell'ufficio del'assessorato e poi gli telefonano.
" Pronto, guardi qui è il vice presidente dell'Associata Italiana della Malboro ( sigarette). Noi abbiamo un contratto con voi per avere l'esclusiva della raccolta delle foglie secche nei viali ...................... perchè le utilizziamo per mischiarle con il tabacco e farne trinciato forte per le pipe".
Il giovane segretario balbetta qualcosa, fa sapere che l'assessore non c'è e che lui di questo non sa nulla.
Ma il "vice presidente" insiste con voce tesa:" il fatto è che abbiamo saputo che gli spazzini stanno portando via tutte le foglie con gli autocarri .Come mai non sono stati avvertiti che in quei viali devono lasciare le foglie secche e terra che a portarle via ci pensiamo noi con i nostri mezzi? E' un danno enorme per noi!!!"
La giovane vittima resta di sasso, balbetta ancora, non sa cosa fare..
" Guardi, si dia da fare-dice ancora il rappresentante della Malboro.Blocchi tutto o sono guai, anche per lei!!!".
Rosso in volto, sudato, quasi tremante, il neo segretario dell'assessore si attacca al telefono e comincia a chiamare la Nettezza Urbana, I vigili e chiunque pensa possa dargli una mano.
Terribile la situazione.
I due birbanti ed anche un pò carognette, capiscono che la situazione sta prendendo una brutta piega e allora...si fanno avanti, entrano nell'ufficio del poveretto e ridendo gli spiegano che era stato solo uno scherzo.
CONCLUSIONE:
I due amici-colleghi potevano fare a meno di prenderlo in giro però lui...credere che la Malboro comperi le foglie secche per mischiarle al tabacco...
Gli anni da allora sono passati ed è da non credere.
Il "giovane" ha fatto una bella carriera, si è fatto furbo, è stato democristiano, socialista, comunista,  e via di questo passo
per ottenere quel che voleva.
Forse la lezione è servita !!!

RICORDO DI MAGGIO

RICORDO di MAGGIO
La pergamena

L’iconografia era di quelle classiche: le rondini garrivano nel cielo sereno dell’imbrunire di Piazza XX Settembre, aria mite, alcune mamme osservavano i loro figli giocare, non trascurando di chiacchierare tra loro, tavoli e sedie del Bar Aurora tutti occupati da gente che parlava, beveva, fumava.
La donna attraversava velocemente la piazza per recarsi a casa mentre, nella memoria, annotava gli elementi iconografici di quell’ennesimo maggio, senza tuttavia provare curiosità né voglia di fermarsi a guardare meglio.
Fu un tacco, malevolmente infilatosi tra le fessure del selciato, a bloccarla d’imperio proprio davanti la chiesa di San Silvestro.
Operò con una certa maestria per liberarlo senza togliersi la scarpa, ma ormai si era fermata; lì, davanti alla chiesa.
Fervente cristiana non lo era mai stata. L’ultima volta che era andata a messa fu in occasione di… di che? Non ricordava. Qualcosa la spinse ad entrare. E lo fece.
“El segn d’la Croc se c’mincia da la spalla de destra o da c’l’altra?” si chiese assaporando il rumore attutito che giungeva da fuori. Non ricordava neppure che dentro la chiesa tutto diventa ovattato, il tempo si ferma, lo spirito si libera.
Si segnò come le capitò di fare, dopo aver inumidito le dita nell’acquasantiera.
Due passi avanti, verso l’altare, nel silenzio. Si stava immergendo in un mondo irreale, disertato dai più, dalla popolazione dei distratti.
Fissato al muro, un quadro proteggeva una vecchia pergamena; valeva la pena leggerla?
Con tutti i magoni che aveva, le incombenze, le difficoltà che solo una donna che vive in solitudine può conoscere, ritenne non fosse il caso di prestarle attenzione, neppure per soddisfare una punta di sana curiosità.
Un quadro, nel muro.
“Impara a mantenerti calmo e sereno tra il chiasso e l’agitazione, pensa alla pace che si gode nel silenzio”
“Cazzate” le venne di pensare.
“Evita le persone chiassose e rissose: sono un tormento per lo spirito”
Però: che strano! Quella pergamena la stava attirando irresistibilmente, voleva farsi leggere. Era un caso o piuttosto intendeva comunicarle qualcosa?
“Cerca di essere te stesso, non fingere l’affetto se non l’hai, ma non essere cinico verso l’amore perché anche se esso appassisce e secca, tuttavia rinverdisce sempre, come l’erba”
Ripensò ad una persona che non era più con lei; una persona importante, un giro di boa nella sua esistenza.
“Fa tesoro dell’esperienza che viene dagli anni e rinuncia ai sogni di gioventù”
L’esperienza e gli anni le avevano mostrato unicamente quanta forza deriva dalla serena rassegnazione …
“Tu sei una creatura dell’universo, non meno degli alberi e delle stelle. Hai diritto di restare qui, e non importa se lo sai o meno”
… anche se più di una volta aveva pensato di farla finita con questa vita così avara di soddisfazioni, così prodiga di delusioni ed amarezze.
“Sii in pace con Dio, qualunque sia la concezione che hai di Lui”
In pace con Dio… dovette ammettere a sé stessa che era sempre riuscita nell’intento di ricominciare da capo. Decisamente qualcosa o qualcuno l’aveva sempre aiutata: forse l’idea dell’esistenza di una Volontà superiore, forse la rabbia, forse l’amore.
Forse.
“Con tutte le falsificazioni, le noiose occupazioni ed i sogni spezzati… è pur sempre un bel mondo il nostro, il tuo. Sii prudente. Sforzati di essere felice.”
“… di essere felice…” ripetè automaticamente.
Finito di leggere non risolse di cambiar vita, né di votarsi ad opere pie. Non decise che sarebbe andata a Messa tutte le domeniche, né di scoppiare in uno sproloquio di bestemmie.
Restò a lungo col capo chino, guardando in terra, laddove il pavimento faceva angolo con il muro.
Prima di uscire.
(liberamente tratto da “Desiderata”, di Anonimo)




domenica 6 novembre 2016

LA VECCHIA PANCHINA

La vecchia panchina
di legno
coperta di foglie morte
cadute dagli alberi vicini
era comparsa
all'improvviso al suo sguardo
mentre percorreva
a passi veloci
quel lungo viale,
dimenticato da anni,
nel tentativo di arrivare a casa
 prima che scoppiasse
il temporale.
Si era fermato con emozione.
In un attimo, quanti ricordi
gli erano tornati alla mente.
Era proprio la panchina,
vicino agli sgangherati
giochi dei bimbi
dove da ragazzo,
al calar della luce,
andava con la fidanzata
quasi ogni giorno
vivendo amore e carezze.
Tante parole, tante promesse,
 tanti momenti felici
sognando una vita
che non sarebbe mai cambiata.
Ed invece............................
La pioggia aveva cominciato
a cadere forte e dispettosa
investendo i suoi pensieri.
Meglio andare in fretta
prima del diluvio.




venerdì 4 novembre 2016

UNA CAREZZA

Una carezza,
 timida
come un raggio di luna
che filtra tra le nuvole
ma capace 
di scaldare il cuore
come un incendio
di sentimenti.
Una carezza,
un gesto semplice,
che non costa nulla
ma che non facciamo
mai,se non ai bimbi.
E invece quanti adulti
vorrebbero che una mano
sfiorasse il loro viso
per tornare a vivere.



martedì 1 novembre 2016

RICORDO DI APRILE

RICORDO di APRILE
Quello che conta

Al centro di Piazza Venti Settembre c’è una stella.
Al centro di ogni piazza c’è sempre qualcosa: un lampione, un mosaico, un tombino… se non c’è niente allora non è il centro della piazza, o quella non è una piazza.
Una volta gli studenti che si recavano a scuola a forte rischio di interrogazione, badavano bene di non passarci sopra.
“Porta sfurtuna!” dicevano. Il termine “sfiga”, oggi più adoperato, quella volta non era un uso.
Adesso gli studenti che si recano a scuola non hanno problemi circa il risultato dell’interrogazione.

Una volta, nei primi anni ‘60, verso le sei del pomeriggio un tale aveva preso l’abitudine di fermarsi proprio al centro della stella: rimaneva lì una decina di minuti, curiosamente con il naso in aria e gli occhi attenti, come per cogliere il passaggio di qualcosa, o un evento straordinario, o non si sa che altro.
I pochi uomini seduti sulle sedie di legno antistante il bar-trattoria Rossini, rimanevano tutto il tempo ad osservarlo.
“Mo chi è c’lù?”
“E chi l’ha mai vist”
“Per me en è manca de Fan”
“Prò è curios: ogni giorn a st’ora va malì e guarda a pr’aria; te vedi nient?”
“No, c’è qualca nuvola mo me par che è tropp poc per perda el temp a guardà ma quell”
“C’è casi anca ch’èn guarda, magara sent un udòr…”
Quest’ultima ipotesi ricevette scarso credito.
La discussione terminava quando il tale abbassava lo sguardo e, silenzioso com’era venuto, se ne tornava via, per ricomparire, immancabilmente, alla stessa ora del giorno seguente, pioggia neve o vento che Dio mandasse in terra.
Anche i passanti, incuriositi da cotal atteggiamento, si fermavano un attimo e mettevano il 
naso diretto verso il cielo senza tuttavia riuscire a vedere proprio niente. E ripartivano.
Ripartivano senza sapere che lui intanto li contava, li contava tutti.
Quando sarebbe arrivato a contare il trecentesimo ficcanaso… avrebbe cambiato piazza.