giovedì 12 luglio 2012
IL MURO
Camminava lentamente sul ciglio del muro, un piede dietro l'altro, stando attento a non sbagliare e a non oltrepassare la linea di sicurezza. Era un muro vecchio fatto di mattoni rossi, consumati e spezzati in più punti, girava tutt'intorno al piccolo paese, limitandone i confini, costruito dagli antichi abitanti sulla ripida collina per difendersi dagli attacchi dei nemici. Da fanciullo,lontano dagli occhi dei genitori, lo faceva spesso, sfidando gli amici che però non si tiravano indietro e quindi si formava una lunga fila , come di formiche, che affrontava la paura ed i pericoli e procedeva su quei pochi palmi di terreno, tanto era lo spazio che il muro offriva ai loro piedi. Era già difficile arrampicarsi e mettersi in piedi, figurarsi poi procedere un metro dietro l'altro, mentre da un lato c'era la strada ma dall'altro c'era lo strapiombo dei fianchi del monte. Ma era bello perchè era pericoloso ed a quella età non si calcolavano certo i rischi. I giochi pericolosi di ragazzi. C'erano alcuni tratti del muro veramente difficili perchè ripidi, perchè sconnessi, perchè facevano girare la testa se si guardava sotto. E via piano piano, un passo dietro l'altro, a rischiare incoscientemente la vita per nulla, per un gioco, per una sfida mentre a casa babbi e mamme ,tranquilli, pensavano a tutt'altro. Essendo uno dei più alti ed anche ben messo fisicamente, era sempre lui a guidare la fila mentre gli amici lo seguivano con molta trepidazione ma anche con fiducia. Sapeva muoversi, aveva gli occhi attenti, avvertiva subito gli altri dei pericoli e di come si dovevano comportare. Era sempre andata bene, per fortuna e nessuno si era mai fatto male. Poi erano passati gli anni e poi ancora fino a quando un giorno aveva deciso di tornare al paese, da dove era andato via ancora fanciullo, attratto fortemente dall'idea di rivedere quel muro, di camminare nelle piccole strade, di risentire profumi di campi e di erbe selvatiche. Era arrivato presto, aveva parcheggiato l'auto prima della rampa che portava al centro ed aveva raggiunto a piedi la piazza. C'era ancora il bar all'angolo, gli ombrelloni vicino ai tavoli, le sedie di vimini. Aveva preso un caffè in fretta e poi aveva imboccato subito la strada che portava al muro. Quanti ricordi tornavano alla sua mente mentre procedeva tra casette e alberi secolari, i balconi, la chiesetta, il palazzo del signorotto del paese, l'odore del mosto che saliva dalle cantine, i piccoli giardini dietro gli alti cancelli. Ed ecco infine il muro. Lo ricordava tanto alto dal piano della strada ed era invece poco più di un metro, un metro e mezzo. Si era appoggiato ed aveva guardato di sotto; certo da quel lato, verso i fianchi della collina, metteva invece paura, alto e senza appigli. Quanto erano stati incoscienti, aveva pensato. Aveva guardato a lungo verso l'orizzonte, verso il mare, verso le città lontane. Quanta pace si provava ancora in quel luogo, lontano da tutto e da tutti. Era ora di andare, aveva dato un'ultima occhiata e poi aveva ripreso la strada del ritorno. Ma non era soddisfatto, sentiva nel cuore come un tarlo mentre un pensiero batteva nella sua mente; provare, riprovare, sfidare per sognare. Era un pazzo! Un'idea da matti. Ma era tornato indietro. Aveva appoggiato le mani sul muro e con fatica era riuscito a salirvi sopra. Mi sono proprio mangiato il cervello, si era detto, ridendo. In piedi, vedeva tutto più chiaro, più sicuro. Aveva mosso i primi passi, guardando davanti a sè,come faceva allora. Si sentiva leggero, tranquillo, certo di poter fare ancora metri e metri. E nessuno e niente lo avrebbe fermato. Questo forse era il senso della vita. Ed era andato avanti, avanti, pensando di volare.
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