venerdì 4 gennaio 2013

UNA SERA DI NOVEMBRE

E' di questi giorni la notizia che verrà messa a tacere per sempre la "sirena" del porto che tutti conosciamo. 
Voglio ricordarla con questa racconto che è stato pubblicato nel mio libro " L'uccello azzurro" tanti anni fa.

Era scesa improvvisamente la nebbia sulla città ed il fischio lugubre della sirena del porto si faceva sentire con insistenza, ad intervalli regolari, mettendo addosso tristezza e malumore.
Neanche la potente luce del faro riusciva a rompere quella cortina impenetrabile di fredde goccioline ed i rumori giungevamo attutiti, come compressi da una immensa montagna di ovatta.
I lampioni del viale si vedevano appena e solo i cordoli delle aiuole poste ai lati della strada aiutavano il malcapitato pedone a non perdersi in quel nulla.
Non c'era presenza di persone e solo qualche rarissimo faro di automobile si vedeva all'improvviso, a pochissimi metri di distanza, facendo sobbalzare Francesca che scartava di lato, impaurita, per evitare l'impatto.
Oramai doveva essere quasi alla fine di viale Cairoli e sarebbero bastati ancora solo pochi minuti per giungere a destinazione ed al sicuro,  a casa del padre in Viale Trieste.
Sebbene fossero solo le 19 a Francesca sembrava di essere in piena notte, come in una giornata di cupo inverno, quando nella zona mare non passava nessuno, neanche un cane, con le porte e le finestre della case sbarrate per difendersi dalla bora e dagli spruzzi di acqua salata.
Si era stretta addosso con un gesto automatico il pesante impermeabile, tirando su il colletto per proteggersi il viso e non certo dalla nebbia e dall'umidità che le arrivava sin nelle ossa, facendola sentire vecchia e malandata.
" Almeno smettesse di ululare quella maledetta sirena"aveva detto ad alta voce mentre cercava di immaginare nella mente  il percorso che doveva ancora fare. Era strano ma quel suono non le era mai andato a genio, da sempre e sin da bambina le aveva sempre messo addosso un senso di paura  e di angoscia. Forse  conveniva fermarsi un attimo per raccogliere le idee e cercare di orientarsi; doveva essere nei pressi dell'albergo Astoria e quindi sulla strada del lungomare; bastava dunque girare a destra, seguire l'asfalto 
ed i cordoli sino all'incrocio e poi infilarsi in via Trieste; qui non le sarebbe stato difficile ritrovare la casa del padre.
Con il piede destro aveva cercato il cordolo dell'aiuola per seguirne la sagoma, cosi facendo avrebbe trovato più facilmente la direzione giusta.
Ma...niente, sotto il piede nulla. Dov'era il cordolo? Aveva provato ancora, spostandosi con cautela ma ancora niente.Mannaggia! Eppure doveva essere lì, l'aveva seguito sino ad un minuto prima. " Calma...Calma" Francesca aveva tentato di farsi coraggio facendo anche una smorfia che avrebbe dovuto essere un sorriso. Però, quanta nebbia c'era quella sera." Mica sono a New York! Capirai sono a Fano, 'sta metropoli!" ma cominciava veramente a sentirsi a disagio e con qualche preoccupazione.Adesso, in quella situazione, anche la sirena del porto le appariva meno indigesta indicandole, bene o male, che non era poi cosi lontana da casa. Comunque, pesta e ripesta, il cordolo non c'era. Pazienza, sarebbe andata avanti fidandosi della memoria; l'aveva fatta tante di quelle volte quella strada che avrebbe potuto procedere anche ad occhi chiusi in una giornata normale.
Allora: se era alla fine di Viale Cairoli doveva proprio prendere a destra. Aveva azzardato ancora qualche passo con la punta del piede protesa in avanti per avvertire eventuali ostacoli. Ora camminava piano e con timore: e se fosse finita dentro il porto? E se fosse caduta in acqua? E se   dalla nebbia usciva un mostro? Un malintenzionato? O un cane arrabbiato? Già si sentiva vittima e morente, con le carni sbranate, oppure immersa nell'acqua gelida del porto o dello squero, con i parenti piangenti e in lutto.
Poi si era fermata di botto, con i brividi del terrore addosso: sotto i piedi aveva sentito qualche cosa di soffice e di inconsistente.L'asfalto non c'era più, aveva trovato solo sabbia.
Mamma mia! Ma dove era andata a finire? Aveva la forte tentazione di gridare, di chiamare aiuto, di correre per fuggire; fuggire ma dove ? Con quella nebbia che non faceva vedere nulla. Non ne poteva più mentre la sirena, implacabile, seguitava a gridare. Non sarebbe mai arrivata dal padre, avrebbe fatto una brutta fine, aveva voglia di piangere. 
Con gli occhi sbarrati cercava di penetrare quella cortina buia che le stava davanti.Era certa di sentirsi male, vedeva infatti il giallo e tenue raggio del faro  muoversi nella notte come il fanale di una bicicletta. Era la fine, la fine. La luce gialla si muoveva ancora e pareva danzare nella nebbia, sdoppiandosi come nello sguardo di un ubriaco; povera Francesca...Non le restava che pregare:" Padre nostro che sei nei cieli.." a voce alta come in chiesa. Era finita.
E all'improvviso si era ritrovata di fronte  il padre ed il fratello, con le torce in mano, sorridenti, felici di averla trovata e che la rincuoravano dandole affettuose pacche sulle spalle. "Avevamo immaginato che con questa nebbia saresti stata in difficoltà, senza luce Ma che ci fai lì? Era finita quasi sotto la tettoia di una edicola chiusa da mesi  e tutt'intorno mucchi di sabbia portata dal vento, la sabbia che aveva sentito sotto i piedi. Pur fra le lacrime Francesca aveva sorriso: quanto era stata stupida.
Naturalmente oggi con i cellulari tutto ciò non sarebbe accaduto.

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