Faceva sempre lo stesso tragitto tutti i giorni, alla stessa ora e la meta era un bar in cima al corso dove facevano gelati che erano una meraviglia.
Camminava adagio, passo dopo passo, guardando le vetrine, prima a sinistra e poi a destra, tutte quelle che c'erano ai lati della strada, di qualunque genere, vestiti, scarpe, ferramenta, tabaccaio, gioielleria, profumeria, biancheria femminile, spesso avvicinava il naso ai cristalli e più di una volta aveva sbattuto violentemente la fronte sul vetro per essersi avvicinato troppo.
E andava, lento, lento, sicuramente assaporando la distanza che lo divideva dalla gelateria, voleva già sentire l'odore ed il sapore prima ancora di averlo in mano,nel cono grande da 5 euro, sapori misti ma quasi sempre almeno con la cioccolata e la banana.
A salutarlo erano in pochi, pochissimi; era sempre stato di carattere scontroso, anche da giovane e decisamente antipatico ed anche gli amici di scuola e poi di lavoro mal lo sopportavano se non per educazione. Aveva guadagnato abbastanza, lavorando in banca, aveva sposato una donna con il suo stesso carattere e si erano separati dopo pochi anni; a lui era bastata quella esperienza ed aveva chiuso lì i suoi rapporti con le donne.
Sui quarant'anni, spinto da un collega, aveva cominciato a prendere gusto a fare qualche giretto in mare con la barca che prendeva in affitto al porto e l'estate passava molte ore andando avanti e indietro tra Fano-Pesaro e ritorno. Un giorno però aveva avuto una paura del diavolo con una tempesta che lo aveva preso quando era a pochi metri dal
porto e da quella volta...ci aveva fatto una croce sopra ed era tornato a terra senza più muoversi.
Abitava a poca distanza dal centro, in una villetta con giardino nei pressi del Pincio, comperata con sacrifici e mutui ma ne era soddisfatto e sempre si ripeteva che ne era valsa la pena.
Poi era arrivata anche la pensione e la liquidazione, una bella sommetta che teneva in banca e che non toccava mai riuscendo ad andare avanti con la pensione.
E passava le giornate leggendo il giornale, guardando la televisione e nel tardo pomeriggio -dalla primavera all'autunno- la passeggiata per andare a prendere il gelato.
Camminava lento, lento, con aria svagata, assente ma con gli occhi sempre rivolti alle vetrine dei negozi sino a che non arrivava alla meta.
La barista oramai lo conosceva bene le quando entrava nel caffè gli chiedeva solo:" che gusti ?" e lui rispondeva dando indicazioni:" cioccolata e panna, cioccolato e crema, cioccolato e banana..."; pagava, prendeva il cono carico di dolcezze e piano piano, lentamente, facevo il percorso all'inverso, leccando con parsimonia, godendo sino infondo quel paradiso.
E mentre leccava, guardava le vetrine, una dopo l'altra come aveva sempre fatto.
Fino a che, un giorno maledetto di luglio, proprio qualche metro dopo che aveva lasciato il caffè con il cono in mano,mentre passava davanti un negozio di abbigliamento, gli era caduto addosso dalla vetrina lasciata aperta, un manichino che alcune commesse stavano sistemando evidentemente in modo assai maldestro. Per fortuna non si era fatto nulla ma un braccio del manichino gli aveva strappato di mano con forza il cono gelato facendolo spappolare a terra.
Era rimasto impietrito mentre guardava in terra quella grazia di Dio sprecata; gli era anche venuta voglia di piangere quasi si fosse rotto per sempre un incantesimo. Se ne era andato senza dire parola, a passo svelto, allontanandosi velocemente giurando a se stesso che dal giorno dopo non avrebbe preso più il cono ma una bella coppa, stando però seduto al tavolo sino a che non l'aveva finita.
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