sabato 30 aprile 2011

I GIARDINETTI AL LIDO

Era un'oasi di verde e di ombra negli assolati mesi estivi per chi frequentava il Lido; un unico rifugio alla calura in tutto il lungomare. Chiamarli giardino è esagerato e non rispondente a verità: era un quadrato di alberi contorti e sofferti, posti l'uno vicino all'altro quasi senza ordine, alberi " da mare" nati per poter vivere in un ambiente ostile come quello marino e per questo piegati dalla bora e dai venti invernali, ma resistentissimi ,alternati a qualche aiuola. Si trovava quasi a metà del lungomare, a pochi metri dal bar Lido e naturalmente a poca distanza dalla spiaggia.  Ma quello che era importante e conteso anche a suon di litigate, certe volte, era la presenza di preziose panchine in legno dove si poteva riposare, gustare un gelato,chiacchierare, leggere il giornale e volendo anche dormicchiare e fare la pennichella. E non si pagava nulla! Nei giorni festivi era come un girone infernale perchè ai fanesi si aggiungevano le numerose schiere di perugini ( cosi venivano genericamente chiamati tutti i forestieri della gluppa) che facevano la fila nei pressi delle panchine nella paziente attesa che si liberasse qualche posto. E succedeva, quindi, che le famigliole fossero costrette a dividersi e sedersi su panchine diverse, certe volte lontane tra loro. Ed allora erano grida, richiami, corse di bimbi avanti e dietro per tenere i contatti.Minuti di sosta? No, ore. Perchè molti avevano con sè il pranzo, molti attendevano le corriere per tornare in Umbria che avevano il capolinea proprio alle spalle del giardino, molti stanchi ed accaldati, completamente vestiti, cercavano refrigerio e riposo. Ma come ci si stava bene! Con un unico, piccolo ma fastidioso difetto. Che certi giorni, dagli alberi "piovevano" sulle persone in panchina, grappoli di piccoli animaletti verdi e trasparenti, poco più grandi di moscerini ma assai fastidiosi. Peccato! Ma non si poteva chiedere tutto senza pagare nulla.Oggi ci sono le disinfestazioni; c'erano anche allora, intendiamoci bene, ma forse qualcuno aveva tirato avanti senza spruzzare.E la zanzara tigre dei nostri giorni è molto peggio.
Nelle due foto: i giardinetti del Lido molti anni fa ma in due momenti diversi. Quella in bianco e nero è precedente.

giovedì 28 aprile 2011

DENTIERE AL VENTO

E' stata una vera e propria rivoluzione di costumi, di usi, di società. L'avvento delle due ruote elettriche o, meglio, delle biciclette elettriche ha cambiato totalmente ed in pochissimi anni la vita e la sopravvivenza di centinaia, migliaia di persone anziane, di piccoli,medi, grandi invalidi, di nonnette e nonnetti oramai destinati ad essere ( e stare) nell'angolo, ai margini, ai limiti, anche se amorevolmente- e non sempre- aiutati e supportati da figli, figlie, nipoti vari. E' stato il ritrovare, lo scoprire l'uso della propria libertà, della propria indipendenza. Perchè sino a quel momento l'unico mezzo a disposizione era la classica, intramontabile ma faticosa ed in certi casi faticosissima bicicletta. LA BICI. E bisognava pedalare, non c'era scampo. Tanto che molti anzianotti, in sù con gli anni e con gli acciacchi, la usavano non per spostarsi da un posto all'altro pigiando sui pedali ma seplicemente spingendo a piedi ed utilizzandola come portaspesa, porta borse, porta pacchi. E spingi... e spingi. Poi il MIRACOLO. LA BICI ELETTRICA. Niente più fatica, niente più sudore, niente più invalidità ed acciacchi. E' stato un universale ritorno alla giovinezza, agli ardori del passato, alla gioia di vivere, al ritrovato senso di libertà, superando i modesti confini del proprio quartiere in cui erano stati relegati sino a quel momento. Settantenni, ottantenni, forse anche novantenni, donne e uomini, invalidi di tutte l'età e di tutte le religioni hanno conosciuto la modernità del motore elettrico, la spensieratezza del vento in faccia, l'ardore e...l'ardire di andare lontano, di superare ogni limite. Via col vento! A tutta birra, sorridenti, dentiere che sfidano la velocità, i semafori, gli stop, gli incroci. Via via, sembrano dire, abbiamo fretta, non abbiamo tempo da perdere. Sfrecciano come tordi lungo le strade cittadine e di periferia, non sai mai che direzione prendono, se a destra o a sinistra della carreggiata. Ma vanno liberi e felici. Non sanno esattamente che velocità tengono perchè se lo sapessero...rimarrebbero pietrificati ( quasi i 30 km all'ora), eppure rarissimamente si è sentito e si sente parlare di incidenti. Hanno chiaramente un santo dalla loro perchè altrimenti non si spiegherebbe questo fatto. Forse San Cristoforo... Dobbiamo essere contenti: lasciamoli vivere e sorridere per questa ritrovata giovinezza.

martedì 26 aprile 2011

LA ROSA,LA MIA ROSA

La rosa è una rosa che guarda la luce, che guarda il sole, che non ha paura di stare in un angolo, in un piccolo terrazzo,estate ed inverno,non cerca ammirazione, non cerca complimenti anche se ne meriterebbe tanti, non chiede nulla, oppure, chiede poco. Ai primi segnali di primavera si copre di gemme, di foglie, di verde, e poi di boccioli; all'inizio piccolissimi, quasi invisibili, di colore rosso scuro, che con il passare dei giorni però diventano belli e grandi e quindi rose, fiori bellissimi e profumati, colorati di tinte calde e tenui. E' una pianta, una sola, in un grande vaso di vecchia fattura. Fiorirà per molti mesi, sino alle soglie dell'autunno, e da sola riempe lo spazio, lo sguardo, uno spicchio di orizzonte. Non potrebbe dare di più.
La rosa appena fiorita e fotografata

venerdì 22 aprile 2011

FIORI E PIETRE

Ci potevi contare, estate ed inverno, primavera ed autunno, sole o pioggia, caldo o freddo, era sempre lì, nell'angolo, con il suo banchetto coperto di fiori e nello sfondo le antiche pietre dell'arco di Agusto. Era la "stazione delle corriere" a cielo aperto perchè Fano, sotto questo profilo,è stato sempre il terzo mondo; un punto di arrivi e di partenze, di passaggio e di passeggio e tra una corriera e l'altra tra uno scendere e salire di fiumane di gente, di studenti, di impiegati, di casalinghe, di operai, sullo sfondo e nella visuale c'era sempre lei: LA FIORAIA. Non ti potevi sbagliare perchè c'era solo lei e sempre lei, credo si chiamasse ( e si chiama ancora spero) Maria. Per quanti anni l'ho vista in quell'angolo a sistemare i fiori,  a pulire, a rinfrescare, a trasportare secchi d'acqua e, naturalmente, a preparare mazzi per i clienti. Tutti, prima o poi, si sono affacciati al suo banchetto ed hanno acquistato garofani, rose, margherite,verdura. Pensieri ricordati all'ultimo minuto, omaggi floreali  nati lì per lì, mariti e fidanzati di corsa, consigli per i più indecisi, ce n'era per tutti. Ha scandito con la sua presenza stagioni, mesi, anni. Faceva parte del paesaggio, tra Pincio, Chiesa di San Michele, Arco e Porta Maggiore. Poi è sparita.Forse aveva cambiato posto, forse era andata in pensione. Non lo so ma una cosa è certa: è sparita l'unica bella macchia di colore che c'era in quell'orizzonte di cielo.

mercoledì 20 aprile 2011

LIDO MON AMOUR

 
Oggi riconosco di aver sbagliato ma quando quegli anni erano gli anni della giovinezza per me esisteva solo ed esclusivamente la spiaggia del Lido, il lungomare del Lido, i locali del  Lido, le pizzerie del Lido e la sala da ballo del Lido ovvero il "Florida Dancing". Cos'era la Sassonia? E chi si sognava di attraversare il canale del porto per venire da quest'altra parte? Nessuno. La vita estiva per me, per i miei amici e le mie amiche, per i villeggianti che popolavano la zona mare il mondo festaiolo e vacanziero andava dal porto a levante e dal moletto dell'Excelsior a ponente. La sassonia si attraversava solo quando c'era necessità o quando, per passare tempo o per allungare la passeggiata nelle giornate  un pò più noiose e poco assolate, si faceva il giro del porto, si curiosava nei cantieri,  si passava davanti al mercato ittico, si andava verso gli orti e si saliva verso la città. La lunga distesa di sassi, quelle basse colline ghiaiose assolutamente impraticabili non invitavano certo alla sosta. E spesso, in certi tratti, erano anche coperte di rifiuti dei cantieri o di brandelli di reti, di corde e di quanto altro era di uso comune ai pescatori. Molti anni dopo,però, quando i fanesi si resero conto che quel "palmo" di spiaggia del Lido non era più sufficiente ad accogliere il boom vacanziero dei perugini, dei ternani, degli umbri in genere che a frotte invadevano Fano, si fece di necessità virtù allargando l'orizzonte lì dove era possibile e cioè valorizzando anche la Sassonia. Con le Pensioni prima e con gli alberghi poi, ripulendo la distesa ghiaiosa, mettendo fiori ed aiuole, siepi verdi, ombrelloni, cabine, passeggiate nel lungomare, ristoranti.La stessa cosa che poi è stata fatta dall'altra parte, verso Pesaro e cioè all'Arzilla: poca sabbia e tutti sassi. Oggi, riconosco è una bellezza e molti degli affezionati del Lido lo hanno da tempo abbandonato in favore delle altre due spiagge, soprattutto poi i giovani. Ma io seguito imperterrito ad essere lidaiolo. Sabbia  in certi tratti quasi "polvere", mare basso e sonnolento, auto sino al limite della spiaggia, motorini, biciclette, confusione. Ma io non mi arrendo caro Lido mon amour.
L'immagine è una foto d'epoca. La Sassonia è occupata da pochissime persone. Ed era già iniziato il suo recupero.

martedì 19 aprile 2011

I SOGNI E LE SPERANZE

Abitava a pochi passi e per questo, appena aveva qualche minuto libero, andava di corsa a giocare sul grande prato verde e fiorito che circondava l'antica rocca, così grande e maestosa da mettere timore e rispetto. Spesso era solo, qualche volta in compagnia di qualche amichetto di scuola che abitava nei paraggi. Era bello rincorrersi e rotolare sull'erba, senza farsi male, ed ancora più divertente era prendere a calci un vecchia palla di gomma  o un barattolo o un pezzo di legno e combattere e spintonare per segnare il goal. Tornava a casa solo quando la madre, gridando ad alta voce dalla porta di casa, lo richiamava insistentemente e più volte, ma lo faceva contro voglia e solo la certezza di poter tornare di nuovo il giorno dopo lo tranquillizzava e lo faceva stare tranquillo. Quel verde prato era tutto il suo mondo, era il suo spazio di sogni e di speranze e non cercava altro. Se c'erano gli amici giocava , se era solo dava libertà ai suoi sogni. Si era ricavato un piccolo spazio tra un vecchio tronco d'albero ed una grande siepe i cui rami facevano ombrello e formavano una specie di piccolo rifugio dentro il quale giorno dopo giorno aveva portato foglie secche per coprire il fondo, fogli di carta, tre o quattro biglie di vetro, figurine colorate ed una monetina dal valore di pochi centesimi ma da lui considerata più di un tesoro. Come si sentiva bene lì dentro, e come galoppava la sua fantasia. E non era raro che tra i rami, sopra la sua testa, si fermassero uccellini a saltellare e gorgheggiare. C'era profumo d'erba, di fiori, un piccolo, grande universo per lui. Non chiedeva altro. E quanto aveva pianto e quanto si era disperato quando i genitori avevano deciso di cambiare casa e di andare a vivere  in un nuovo e anonimo quartiere della periferia! Avrebbe preferito morire.  Poi, naturalmente si era adattato. Ma sempre, sempre, con il passare degli anni, aveva ripensato a quel luogo, a quel prato, a quel rifugio foderato di sogni e di speranze.

sabato 16 aprile 2011

L'ALTALENA DEL TEMPO

Dondolava dolcemente l'altalena, mossa da un leggero vento di primavera. Dagli alberi, lungo il viale, qualche foglia si staccava dai rami e lentamente scendeva verso terra simile a farfalle. Domenico ci aveva messo un bel pò di tempo ad arrivare sino a lì ma, testardo com'era, non si era arreso nè alla stanchezza nè alle difficoltà di camminare appoggiandosi ad un bastone che malamente lo sorreggeva in quella strada coperta di ghiaia.Lo aveva deciso la sera prima, improvvisamente, quando rovistando in un cassetto aveva ritrovato vecchie foto che lo ritraevano, insieme agli amici ed alle amiche, proprio in quel viale verde ed ombroso, tutti in posa sopra e vicino ad una vecchia panchina di legno. Proprio in uno spazio del prato, oltre le panchine c'erano alcuni giochi per bambini e tra questi anche un'altalena  dove
assai spesso, tanto per ridere, salivano a turno, dandosi spinte fortissime tanto da arrivare molto in  alto," quasi sino al cielo!" gridavano soprattutto le ragazze impaurite.Era un'altalena molto semplice, composta da un sedile di legno, sorretto da due catene in ferro ed appesa ad alcune travi che la tenevano bel salda a terra. Domenico, nel guardare quelle foto sbiadite aveva avuto un tuffo al cuore e la sua mente aveva immediatamente riportato a galla nomi, figure, amicizie, momenti felici e tristi, vicende lontane nel tempo e oramai cancellate.Quanti anni erani passati da allora,alcuni di quei giovani ritratti sorridenti avevano lasciato Fano pochi mesi dopo per andare  a vivere in altre città e di altri non aveva saputo più nulla, più nulla.Una amicizia forte allora, complice ma poi svanita e cancellata dalle inevitabili vicende della vita. E Domenico, che da tanti anni non andava in quei viali aveva deciso di tornarci per rivedere quei luoghi allora felici e legati alla sua giovinezza. Erano molto cambiati, trasfomati dal tempo e dalla inciviltà della gente; pieni di rifiuti, privi quasi completamente d'erba, le reti che delimitavano il prato dall'acqua del canale abbattute e squarciate in più punti, ed aveva dovuto camminare molto prima di ritrovare quel piccolo spazio dove per fortuna c'erano ancora le panchine e quasi nascosta da un'albero la vecchia altalena. Si era seduto in una di esse, aveva appoggiato il bastone e si era lasciato andare ai ricordi, guardando con commozione quel consunto sedile di legno che dondolava dolcemente mosso da quel leggero vento di primavera. Perchè...gli amici non lo avevano mai saputo ma era stata proprio l'altalena a far nascere il suo primo vero amore, quando era sempre lui ad offrirsi per spingere tanto in alto, verso il cielo, la più carina del gruppo. E , da soli, proprio in quel luogo si erano ritrovati ogni giorno e proprio in  quelle panchine avevano vissuto molto della loro passione giovanile. Qualche mese, fatto di incontri, di molte parole, di qualche bacio, di molte carezze, di molte promesse. Domenico ora ricordava bene, troppo bene ed aveva versato qualche lacrima senza far nulla per fermare il pianto.Era bello ricordare e si era abbandonato completamente sulla panchina appoggiando la schiena e guardando verso il cielo ; e qualche foglia, staccata dagli alberi, era scesa lentamente come farfalle sfiorandogli il viso.

venerdì 15 aprile 2011

LE GITE A MONTEGIOVE

Non era una scelta frequente( si preferiva andare al Metauro) ma la
gita a Montegiove qualche volta rientrava nella meta prescelta per la scampagnata con gli amici e qualche volta anche con le amiche. I mezzi per arrivarci non erano rapidi e comodi; ad essere fortunati si saliva sino alle porte del convento- salvo l'ultimissimo tratto di ingresso-a bordo di una affaticata lambretta o di una vespa altrettanto malandata,  ma nella normalità si saliva  a piedi facendo tutto il percorso di una strada lunga e polverosa, non dico faticando moltissimo ma ...faticando. Forse l'unica comodità concessa era che spesso ad accompagnarci sulla nazionale sino al bivio di Rosciano era qualche genitore in automobile, che ci scaricava con tutti i nostri "accessori" di merende, bibite ed altro. Poi via a piedi, prendendosela allegramente  e comoda senza timore di fare tardi. Strada facendo non era raro fermarsi  per qualche minuto all'ombra di un casolare dove le famiglie contadine ci accoglievano di solito sempre con molta gentilezza e generosità ( soprattutto nel mangereccio). Strada polverosa, dicevo e non frequentata perchè in verità, salvo il convento e le case rurali sparse qua e là, non c'era null'altro. Un sospiro di sollievo di tirava finalmente quando si arrivava all'ultima curva prima della dritta finale.Perchè, praticamente, avevamo raggiunto la meta. Si sceglieva il posto dove fermarsi , ci accampavamo per riposare, per distenderci e naturalmente per mangiare. Era un divertimento perchè tra amici non è difficile trovare argomenti per ridere, per scherzare e per passare il tempo. Il convento non mi ha mai fatto una grande impressione, chiuso dietro le mura e dietro il grande portone; per quel che ricordo quasi mai abbiamo suonato e abbiamo chiesto di entrare. Ma ho memoria di come era( ed è)perchè comunque ci sono state occasioni in cui ho avuto modo di superare la soglia. Le celle, l'edificio,gli orti, quattro chiacchiere con i frati che erano vestiti di bianco secondo il saio dell'Ordine. Qualcuno di loro veniva anche qualche volta in città a Fano, per fare commissioni e compere e si facevano notare per quel biancore dell'abito religioso.  Quel che ricordo bene, invece, è che ad un certo punto fu possibile acquistare  all'Eremo certi ottimi liquori prodotti dai frati della casa madre di Camaldoli. Mi sfuggono ora i nomi(  forse uno era Aurum 48) ma avevano tutti un certo fascino. Quando eravamo stanchi e si faceva sera, tornavamo verso " la pianura" con molta più facilità perchè la strada era tutta in discesa. Non c'erano i cellulari e se perdevamo l'appuntamento con i genitori in attesa sulla statale... altra strada a piedi sino alle porte della città. Andava di lusso, invece, quando c'erano le due ruote motorizzate. Come dicevo: l'Eremo non era una meta frequente ma ci poteva stare.
Nella foto: una immagine del Convento di Montegiove di molti anni fa. Il fraticello aveva i suoi compiti da svolgere nell'orto.

martedì 12 aprile 2011

FACEBOOK:AMICO OPPURE NO?

E' strano che adesso tutti si accorgano che esiste Facebook e mi riferisco in particolar modo ai mezzi di informazione, siano essi giornali o emittenti televisive. Nel giro di pochissimi giorni (due,tre) reti nazionali importanti e quotidiani di alta tiratura hanno offerto servizi interessanti, hanno spiegato " il fronte ed il retro" di questo social network, hanno cercato di chiarire ai più- solo in Italia siamo 19 milioni- tutto ciò che si dovrebbe sapere sul tema e, molto opportunamente, ne hanno illustrato, secondo le loro convinzioni, pregi e difetti e...giro di affari e quanto altro. Non è strano che se ne parli, visto che FB è diventato un fenomeno mondiale ma è sospetta la coincidenza  che ha mirato e mira a descriverne più i lati negativi che quelli positivi.
E siccome FB non è sola nel mondo ma è invece in buona compagnia si potrebbe supporre che le "coincidenze" della scelta dei tempi non siano del tutto casuali. Sulle "amicizie" elargite da tutti a destra e a manca io ho una mia idea ben precisa che è quella di non  esagerare  ma bisogna anche dire che i giovani di oggi, che sia FB che sia il cellulare oramai hanno più amicizie virtuali che concrete. L'ultima che ho sentito alla televisione proprio oggi riguarda un approfondito  studio condotto da esperti psicologi americani di grande serietà e competenza secondo il quale non è vero che le "amicizie" condivise su FB siano positive per i giovani ma piuttosto portino  all'isolamento del soggetto e quindi alla sua conseguente frustrazione.Insomma avere duecento, cinquecento, mille amici, è come non averne nessuno. Quindi:meglio dieci compagni di scuola...
Guarda caso, di questa ricerca americana se ne parla solo ora e solo oggi se ne pubblicizza i risultati. Allora: amici...amici di chi?...amici di che? parrebbe logico chiedersi ma credo che invece nessuno o quasi dei 19 milioni di utenti FB in Italia si porrà questa domanda. A Fano non so, forse tre o quattro, cinque non di più. Ne sono certo.

lunedì 11 aprile 2011

ALLEGRIA!!!CARNEVALE TUTTO L'ANNO

Così ci vorrebbero vedere, tutto l'anno, con la mascherina, i coriandoli, la musica impazzita, i costumi da clown, a mangiare, a cantare, a fare festa. L'ultima è di oggi, appunto: Fano non deve essere solo la " Città del carnevale" ma "vivere il carnevale per 12 mesi". Spensierati, senza problemi, con il sorriso perenne sulle labbra, tasche piene e dolci in abbondanza. Capisco che qualche operatore del ramo, che vive magari solo di questo, si senta in dovere di andare oltre le righe, di superare i confini della decenza e si lasci prendere dall'entusiasmo ma non riesco a comprendere invece chi- facendo l'amministratore pubblico e sapendo (?)  come vanno le cose di questi tempi-si lanci a spron battuto a proporre campagne entusiastiche all'idea di far vivere alla nostra città l'atmosfera di un carnevale perenne. Già è stato ufficialmente deliberato dalla giunta Aguzzi e pubblicizzato in  tutte le salse: Fano è, per decreto regio,( si fa per dire) " Città del carnevale" ma evidentemente non basta, non soddisfa pienamente la voglia di ridere e di far ridere di alcuni che desiderano e pretendono di andare oltre, più in là, molto più in là. Noi modesti cittadini siamo d'accordo? E chi se ne impippa! Carnevale, carnevale, balli e maschere e molto probabilmente soprattutto SCHERZI. Forse è questa la meta: farci digerire soprattutto gli scherzi. Quindi inverno,estate, primavera, Fano dei Cesari, notti bianche, notti insonni, bacio più lungo, quattro cantoni, tombola, Trimalcione, e via di questo passo. FESTA. Ma come dicevano i saggi: quando si propongono feste si cerca  solo di far dimenticare alla gente tutti i guai che ci sono intorno. Oggi non è ieri nè l'altro ieri: decenni  e decenni fa il periodo carnevalesco era l'unico in tutto l'anno riservato al passatempo perchè  , per il resto, si tirava  solo la carretta; adesso ce ne sono tanti che vengono persino a noia tanto che ci si sbronza per provare qualcosa.Facciamo i seri: Fano non ha bisogno di feste e neanche di maschere ma piuttosto di trovare soluzione ai tanti problemi che l'assillano. Gli amministratori potranno anche risolverli ballando, se vogliono, o cantando, ma ci provino almeno. 

domenica 10 aprile 2011

TUTTI AL MARE

Erano le prime. bellissime giornate di sole di primavera a richiamare tutti verso il mare, verso la spiaggia, verso il porto( come accade oggi e come è sempre stato).Soprattutto giovani e giovanissimi perchè le persone adulte avevano ben altro da fare e ben altro a cui pensare. Giovani e soprattutto studenti, che facevano le cosi dette " bisbocce" a ripetizione, ritrovandosi in gruppi ben organizzati prima verso la zona porto dove era più facile mimetizzarsi tra il via vai della gente che ci lavorava  e poi dall'altra parte sul molo di levante disseminati tra gli scogli  oppure sul moletto di ponente e verso l'arzilla che aveva ancora erba e canneti in abbondanza.I libri sottobraccio erano il segno evidente della "sgarrata" da scuola e nasconderli non era facile perchè con il caldo si era in maglietta o camicia e non c'era altro e soprattutto non c'erano, come oggi, scooter e due ruote varie con bauletti e  borsoni. Allora andava molto di moda, per tenere libri e quaderni, il famosissimo "elasticone" che era una striscia di gomma di vari colori, abbastanza larga con ganci alle estremità che permettevano di tenere unito il tutto in modo modo pratico ed efficace. Assai spesso il "pacco" diventava strumento di gioco come se fosse un pallone, lanciato da un gruppo all'altro. Tutti rigorosamente a piedi, si trascorrevano le ore della bisboccia prendendo il sole o con i piedi a mollo nell'acqua, tra gli scogli del molo o camminando oltre l'Arzilla. L'unico rischio che si correva era che qualche parente, qualche amico di famiglia per sue oscure ragioni facesse una capatina dalle parti dove si bisbocciava. Allora erano dolori! Perchè la spiata era assicurata ed i conti con i genitori, di solito erano salati. Se invece andava tutto bene, la giustificazione sul libretto era cosa da nulla: la firma del babbo era imitata cosi bene che neanche il preside più attento si sarebbe accorto. Poi arrivava la stagione vera, dopo il termine della scuola. Tutti al mare! Da mattina a sera,  anche se si abitava a chilometri di distanza. Famiglie intere, villeggianti, amici, amiche, parenti, vicini di casa, rossi come i gamberi, tutti spellati dalla spalle in giù, bruciati come gamberi, crema Nivea quando si poteva spalmata con molta parsimonia e venduta in confezioni rotonde di latta. Pochi sotto le tende e gli ombrelloni, molto con l'asciugamano steso sulla sabbia, dove capita capita, persino distesi sopra i mosconi e scocciati se c'era qualcuno che lo prendeva in affitto.Al largo un trampolino in legno, per i più bravi ed i più spericolati. Salti e tuffi e...qualche incidente. E tra la gente passava il "pizzarolo" con un cestino di legno a tracolla per i più affamati.  Fino a che...tornava l'autunno , per alcuni le maledette riparazioni per le materie con l'insufficienza e poi tutti a scuola di nuovo, in attesa della primavera.

sabato 9 aprile 2011

MUSICA DA PASSEGGIO: I JUKEBOX

Arrivarono dall'America naturalmente, come le tante novità messe a disposizione dei giovani e reclamizzate soprattutto attraverso i films, e fecero subito presa anche da noi. Erano belli, supercromati, coloratissimi, tasti e pulsanti, dischi a go-go con le etichette ed i titoli riportati sul fronte, tutte canzoni all'ultima moda e cantanti di grido. Ci volevano le monete per utilizzarli e quelle, in tasca, non mancavano mai, soprattutto quando  si sapeva di andare o nel bar o nella pizzeria o nel
 locale dove  c'era il jukebox, anzi! Ci andavamo proprio per quello. Musica a tutta birra, allora ma il volume era già stato programmato dal gestore e raramente questi si lasciava convincere ad " alzare ancora di più". Ma la musica si sentiva benissimo e posso dire anche da lontano. Naturalmente la presenza del "mostro" era un bell'affare per il proprietario dell'esercizio  che vedeva arrivare giovani a frotte ed a tutte le ore che erano anche disposti a "consumare" ( gelato, bibita, pizza ecc.) ma non sempre andava tutto liscio perchè c'erano anche avventori - matusa dicevamo noi- che non gradivano e brontolavano e non sempre sotto voce.A Fano ce ne erano diversi, soprattutto nella zona  mare ma ne ricordo benissimo uno anche nel bar che si trovava nel porticato di palazzo Gabuccini, dove passavamo in tre o quattro  amici al termine della scuola verso le 13 e 30. E  facevamo partire sempre la stessa canzone di Harry Belafonte che ci piaceva un sacco e poi... via a casa. Al Lido ricordo quello della pizzeria da Franco e quello del bar Beaurivage, utilizzati al massimo.I jukebox furono una vera e propria rivoluzione, come i giradischi portatili a batterie e le radioline. Volevano dire LIBERTA'. Libertà di muoversi, di ascoltare qualsiasi canzone in qualsiasi momento della giornata, scegliere senza il bisogno di comperare dischi su dischi che non tutti potevamo permetterci. I dischi usati nel juxebox, quando venivano tolti spesso erano rivenduti "sulla piazza"  a pochi soldi  perchè erano consumatissimi ma per chi non aveva da spendere andavano benissimo. Via via che il mercato si allargava, i modelli cambiarono con la moda e con la tecnologia; diventarono anche giganteschi, con le luci ad intermittenza con  le cromature sempre più invadenti. L' ultima novità che ricordo dell'amato jukebox  è l'inserimento di un piccolo schermo nel quale c'erano video del cantante prescelto. Una specie di you tube ante litteram. Perchè finirono e come finirono? Non saprei dire, quasi sicuramente soppiantati dall'avvento di "mezzi" più attuali.Oggi c'è un mercato abbastanza diffuso e certi modelli sono molto costosi. Ma i tempi non sono più quelli...

venerdì 8 aprile 2011

LO STRUSCIO IN CORSO MATTEOTTI

Ce lo invidiavano tutti, persino gli amici-cugini pesaresi e gli amici senigalliesi: lo struscio lungo il corso, soprattutto serale. Era un rito al quale nessuno di noi voleva mancare perchè era una delle poche ,pochissime occasioni per incontrare amichette, compagne di scuola o ragazze sconosciute ma che avremmo voluto ardentemente conoscere.Il percorso era sempre lo stesso  perchè il "centro" città, il cuore pulsante di Fano era tutto lì: negozi, bar importanti,librerie, rivendite di dischi, abbigliamento di lusso e cioè: dal Caffè centrale- frequentato da persone abbastanza facoltose e gioventù con soldi in tasca ( i famosi figli di papà)- verso piazza XX settembre e quindi sino all'incrocio con via Garibaldi e...dietro front per rifare il percorso all'inverso. Quanti i chilometri percorsi? Non saprei dire ma tanti, tanti. Avanti e indietro senza fine, sino a quando , per tutti noi giovani, non suonava l'ora della ritirata che coincideva, naturalmente, con l'ora di cena. Le ragazze, però, andavano via prima perchè mamma e babbo ( o papà) pretendevano prima i doveri di scuola ( devi prendere il diploma!) poi concedevano lo svago ma breve. Anche noi dovevamo prendere il diploma, sia chiaro ma eravamo più liberi. E allora su e giù, su e giù all'infinito, ridendo e scherzando, parlando più forte quando si stava per incrociare le fanciulle, per attirare l'attenzione, per farci vedere. Era una scelta precisa del percorso: incrociare le amiche per vederle in viso, mai andare nella stessa direzione. Così si potevano incrociare gli sguardi, si poteva scambiare un sorriso, si poteva mandare qualche segnale.Questo nei mesi autunnali ed invernali, d'estate le cose cambiavamo totalmente e cambiava anche la sede della passeggiata.
Ma lo struscio, seppure con i tempi così follemente trasformati  e con le abitudini ed i mezzi totalmente diversi , in molti è rimasta ancora una sana e tranquilla abitudine anche adesso. Forse si sono allungati i percorsi:si arriva sino al Pinobar  ma, dall'altra parte, è ancora l'incrocio con via Garibaldi a segnare il confine.Sciocchezze, dirà qualcuno.No, sono solo piccoli ricordi di gioventù ma belli. E chi non li ha non può capire e non sa che cosa si è perso della vita.
La foto è una immagine d'epoca di Corso Matteotti.Sotto il palazzo Gabuccini c'era un bar con il juxebox.

giovedì 7 aprile 2011

1964 IL MARE NON PERDONA

Giugno 1964, eravamo oramai in estate. Bellissime giornate, caldo, si andava al mare. Il Lido era attrezzato, i bar aperti, le cabine di legno sistemate lungo la spiaggia, i pescatori erano in mare con le loro barche. Credo sia stato un primo pomeriggio di un giorno qualsiasi; il tempo cominciò a cambiare, il cielo a diventare scuro ma senza lasciar presagire niente di preoccupante, si alzò il vento, piano piano e poi sempre più forte. La gente che era al mare prese la strada di casa immaginando l'arrivo di un temporale come ne abbiamo visti tanti anche in questi anni. Ma non fu un temporale. Fu un fortunale di inaudita violenza, terribile, che si abbattè  sul litorale fanese e sul mare Adriatico. Sconquassò terra e mare per diverse ore, facendo tabula rasa di tutto. Dal Lido e dintorni furono spazzati via come se fossero di carta capanni, mosconi, sedie, abbattuti da una mano gigante e folle. Le cabine  distrutte, i mosconi, che erano veramente pesanti allora, "volarono" addirittura oltre la ferrovia. Ma la tragedia più grossa la vissero i pescatori quando tentarono di ritornare a casa ed entrare nel porto oppure provarono ad andare al largo per allontanarsi dal fortunale. Furono ore e ore di angoscia per i familiari che in molti si erano radunati nei pressi delle banchine.  Alcuni pescherecci affondarono e portarono con sè, per sempre,  anche i pescatori a bordo. Fu una cosa terribile, mai vista a Fano  da decenni e pagata a cara prezzo. Il nostro bel mare, dove andiamo sempre a trascorrere ore liete in estate, quel lontano giugno 1964  fece conoscere ai fanesi il suo volto sconosciuto, quello più crudele e cattivo. 
La foto, anche se non eccezionale per qualità, mostra una fila di capanni del Lido praticamente distrutta.

mercoledì 6 aprile 2011

TRAMONTO


Dolce malinconia della sera
che sfogli con le tue dita rosate
il libro dei miei ricordi più sereni
quando a segnare il tempo del mio tempo
non erano i minuti nè le ore nè i giorni
ma le emozioni forti dell'anima e del cuore.
Uno sguardo d'intesa, una carezza,
un sussurro di labbra appena schiuse.
Dolce malinconia della sera
che la notte coprirà con il suo velo
torneremo ben presto ad incontrarci
in quella stessa ora in riva al mare
al calare del sole dietro il monte
con altre sensazioni ed altro amore
che ho sfiorato appena con la mano
ma già mi prende nell'anima e nel cuore.

lunedì 4 aprile 2011

DEL LISIPPO ME NE IMPIPPO

Non voglio fare il bastian contrario ma confesso che questa storia della statua di Lisippo, ritrovata da marinai fanesi decenni fa,ha oramai oltrepassato il limite di guardia. Ciclicamente se ne riparla, ciclicamente c'è l'amministratore politico che alza la voce, che perora la causa del ritorno ( la statua è infatti al Museo Ghetty a Malibù in California), periodicamente diventa un cartello da sollevare tra la folla per farsi sentire, farsi notare e - se possibile- chiedere voti. Dico "decenni" e non giorni.E ce la sentiamo riproporre in tutte le salse, in tutte le cucine, in tutte le ricette. Da sempre. Il marinaio che l'aveva ritrovata è diventato nel tempo una specie di eroe, uno da portare alle conferenze, da far intervistare, da far " cantare" sulla storia e sul luogo del ritrovamento ( ma lui ha sempre preferito tacere, meglio così). Ma io chiedo: se la statua è stata ritrovata, è stata nascosta, è stata venduta prima in Italia e poi all'estero: nessuno deve rispondere di questo? Nessuno? Ma non ci sono leggi, leggine, da rispettare? Diamo per scontato che sono passati tanti anni, che la confusione è stata tanta, che le cose sono andate come sono andate, mettiamoci una pietra sopra. Veniamo ai nostri giorni. Si battaglia, si traccheggia, si va in tribunale, si chiede la restituzione al Ghetty Museum, ci sono provvedimenti ...ci sono insomma molte parole, molte ,ma null'altro, per il momento. Niente di veramente  concreto. I politici nostrani però battagliano e rompono. Battagliano con fiumi di parole, con interviste, con primi piani televisivi, con tanta aria. E la statua del Lisippo entra con prepotenza nelle nostre case senza che nessuno abbia chiesto nulla. Ma siamo veramente convinti che la maggioranza dei fanesi muore dalla voglia di avere il bronzo a Fano? Tolti i soliti noti, quanti concittadini - tra i sessantamila che compongono la nostra popolazione- darebbero un contributo in euro per fare ad esempio ( estremizzo, naturalmente) una raccolta di fondi? E perchè dovrebbe essere Fano a riavere la statua? Che c'entra con Fano? Ripescata non si sa bene dove- si dice in acque internazionali-proveniente non si sa bene da quale località ( ma non certo  Fano, nè Pesaro  e dintorni....) l'unico legame che ha con la nostra città è il marinaio che l'ha ripescata e , guarda caso, l'ha venduta. Neanche il tempo si sentire l'odore dei cavoli ( che erano abbondanti a quei tempi giù a marina). Facendo l'ipotesi assurda che torni: dove la mettiamo? Chi concederà i fondi per costruire un degno luogo di esposizione? La solita  generosa Fondazione Cassa di Risparmio? Ed il Comune che parte giocherà? Alle belle statuine? Però intanto si parla molto, molto. E c'è anche chi va a Malibù in California per vederla e farsi fotografare. Come il presidente della Regione Marche, proprio in questi giorni. E' andato pagando di tasca oppure abbiamo pagato noi? Io una mia idea ce l'ho...

domenica 3 aprile 2011

MARE DI SEMPRE:DI OGGI E DI IERI

Gli anni passano ma la meta primaverile è sempre la stessa:il mare. Bastano un raggio di sole, un pò di caldo, l'aria di un inverno che si allontana ed ecco che tutti corrono e corriamo verso i litorali che sia il Lido, che sia la Sassonia o  Arzilla,o Gimarra o che altro. Si va. E questi giorni di aria buona confermano la regola. Ieri, oggi gran folla lungo tutto il tratto, pienone come non se ne vedeva da tempo. Oggi come ieri, dicevo, perchè anche nel passato, quando gli anni erano diversi e più "popolari" e con meno soldi da spendere, ai primi soli la mèta del mare era scontata e giù tutti a scaldarsi e camminare sulla sabbia. Solo che i confini erano più stretti e più limitati; praticamente c'era solo il Lido. Tutti lì. Perchè l'Arzilla, la Sassonia, Gimarra non erano curate nè tanto meno considerate luogo di sosta e di villeggiatura; erano lasciate al " naturale"  e quindi in verità impraticabili, se non per pochi avventurosi. Oggi si arriva a pochi metri dall'acqua con i SUV, con le macchine lunghe ed ingombranti ( ma fanno tanto figo), con le moto 1000 di cilindrata ed i maxi scooter, con le bici supertecnologiche che pesano 300 grammi, 15 scatti di cambio, con il casco, con le tute di moda, con il telefonino sempre connesso, ecc.Gli stessi bimbi che vengono spinti da giovani genitori super accessoriati, viaggiano a bordo di carrozzelle all'ultima moda, con airbag incorporato, alte due metri, supermolleggiate, oppure passeggini che sembrano astronavi. Ai bei tempi si arrivava o a piedi( anche se si abitava molto lontano) o a bordo di pesanti biciclette, rigorosamente in due, uno o una sulla canna,  o i più fortunati in mosquito, motom, vespa, Garelli, Rumi, lambretta, Benelli, quasi tutti cilindrata 48 senza equivoci. I bimbi viaggiavano su carrozzelle passate di madre in figlia, i vestiti erano quelli che erano e le panchine di legno, distribuite in tutto il lungomare, venivano prese d'assalto per non sedere nei bar e spendere soldi. Però, detto questo- che è inevitabilmente il segno del tempo che passa e su cui non c'è niente da dire- resta il fatto che il sole è sempre il sole ed il mare è sempre il mare per noi fanesi; e quindi...giù tutti a correre verso l'acqua salata e la sabbia. Come sempre è stato e come sempre sarà.

sabato 2 aprile 2011

PIZZA FANESE D'ALTRI TEMPI

Oggi è facile parlare di pizza, è entrata nell'uso comune da moltissimi anni, se ne sfornano di tutti i colori, di tutte le forme, di tutti i sapori,persino surgelate. Fanno pizza italiani, turchi, cinesi, marocchini, sempre meno napoletani, quelli veraci.
Ma la pizza è entrata a far parte della nostra dieta, del nostro mangiare quotidiano, delle nostre abitudini  di fanesi ( perchè è di Fano che parlo) molti anni dopo il termine dell'ultima guerra. Le "pizzerie", ovvero locali specializzati solo in questo sono sorti tardi, hanno messo piede nella nostra città con lentezza; erano i fornai a fare la loro parte, preparando pizza bianca e pizzette con il pomodoro sopra.
LE PIZZERIE
Vado a memoria e parlo di quelle legate alla stagione estiva, al mare ed al sole, alla vacanza. Il pizzaiolo Franco creda sia stato uno dei primissimi se non il primo. E'diventato poi famosissimo ed ha aperto grandi locali anche in città ( uno dietro l'attuale negozio di scarpe dei Fiacconi in corso Matteotti  e quindi di fronte alle scuole elementari L.Rossi: una figata!!!). Al Lido aveva la pizzeria vicino alla pista di pattinaggio dove si trafficava noi  ragazzi dalla mattina alla sera per toglierci la fame. Successivamente questo locale passò ad un altro pizzaiolo fanese notissimo, Livio, rimasto nella storia locale per decenni ; anche lui aprì in città  poco distante dal palazzo Gabuccini.A poche decine di metri (foto), sul piazzale dove c'è la scultura di legno, faceva angolo un'altra pizzeria gestita ( a noi così sembrava) da persone adulte e poco propense al chiasso giovanile ma era comunque sempre piena.Poi, sempre venendo verso il centro Lido,si vendeva pizza ...dalla finestra di una piccola casa ad angolo sulle cui rovine ora c'è il Green Bar. Sembrerà strano ma era così, dalla finestra ad altezza d'uomo. Si passeggiava in gruppo, si faceva il bagno, si andava avanti e indietro nelle calde serate evitando di spendere soldi che non avevamo ma...alla pizza non si riunciava.
Poi, buon ultimo arrivando verso il molo di ponente (Hotel Excelsior) c'era la pizza del Florida. Che non era solo sala da ballo notturna ma era anche bar durante il giorno. La famosa pizza- e spero di non sbagliare- del "sor Giovanni" come lo chiamavamo molto amabilmente noi; un toscano simpaticissimo che era il suocero del gestore del " Florida Dancing"Giorgio Valentini che ha fatto la storia musical ballerina di Fano per tantissimi anni , scomparso di recente.
Pregio comune di tutte le pizze erano la semplicità e la bontà. Non ammassi di " chi più ne ha più ne metta" come si fa oggi; buone da leccarsi i baffi ( che non avevamo). Un mondo diverso che si accontentava di poco; allora la pizza era un appuntamento atteso; oggi è spesso uno spreco.