mercoledì 26 dicembre 2012

LA MESSA DI MEZZANOTTE

Non si poteva mancare, a nessuno sarebbe passato per la mente di rimanere a casa, a nessuno.
Ma in Arcevia, quando ero piccolo, a Natale la neve aveva già da tempo sommerso paese, campagne e colline ed arrivare alla cattedrale di notte, con quel tempo, non era cosa facile, tutt'altro. Il paese è in un cucuzzolo e solo gli abitanti  del piccolo centro avevano il " privilegio" di avere la chiesa vicina e quindi la possibilità di raggiungerla con pochi sacrifici ed un po' di fatica ma per coloro che dovevano venire dalle frazioni vicine risultava una bella faticata, una sudata fuori del comune ed ancor più disagiato il ritorno. Eppure... San Medardo- grande ed importante- la notte di Natale era sempre strapieno di gente. Difficile raccontare quell'atmosfera, soprattutto ricordare, per me. Si faceva tardi, si doveva rimanere svegli ma di solito i bambini venivano lasciati dormire e poi chiamati giusto in tempo. Potevano rimanere a casa, certo, con qualcuno ma a nessuno sarebbe stata chiesta questa rinuncia e dunque...
tutti a San Medardo. Si attraversava il paese con la neve alta, altissima, accumulata ai lati, nelle viuzze principali, da volonterosi spalatori che si rendevano disponibili per quella giornata. Coperti dalla punta dei piedi alla testa con cappotti, sciarpe, cappelli di lana, guanti, scarponi ai piedi, in fila per ripararsi l'un con l'altro; le mamme apprensive a coprirci e stringerci, i babbi a fare strada. Confesso che noi abitavamo abbastanza vicini ed il percorso era breve ma non per questo  più agevole. Gelo in terra, freddo polare, vento. Via via per qualche minuto le strade del paese si animavano e le ombre riempivano i percorsi. Dai vicoli sbucavano amici, parenti conoscenti, sotto la luce fioca delle poche lampade. Si arrivava all'ingresso della cattedrale e si salivano i gradini, coperti da segatura, e poi...il miracolo! All'interno la chiesa era piena di luci, di calore, di colori, di candele e lampade , di sussurri, di profumi e di odori,l'altare per me lontanissimo, e le cappelle laterali, i quadri grandissimi, le panche e le sedie con il nome della famiglia proprietaria scritto in un ovale di ottone attaccato all'inginocchiatoio. 
Saluti, occhiate, chiacchiere a bassa voce, tutti prendevano posto e si sedevano, in attesa che la messa avesse inizio, ufficiata nientemeno che dall'arciprete, l'autorità più alta di Arcevia. 
Quelli che venivano dalle frazioni per arrivare sin lì avevano avuto un bel da fare, questo è certo. Ricordo però questo particolare: che molti di loro ( soprattutto le donne) si portavano un paio di scarpe di ricambio, asciutte, che poi calzavano prima di entrare in chiesa e si toglievano gli scarponi chiodati e bagnati che riponevano nella grandi borse che avevano in braccio, tutte uguali, nere di pelle intrecciata e foderate di stoffa scura.
Poi, iniziava la cerimonia. Sempre carica di fascino e di mistero. Noi piccoli, non resistevamo a lungo e ci addormentavamo sulla panca, appoggiati ai grandi che ci stavano vicini. Non ci si poteva chiedere di più!

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