Mio padre e mia madre erano partiti per Fano per cercare l'appartamento dove saremmo andati ad abitare. Non era stato difficile trovarlo ed in mezza giornata avevano fatto quel che c'era da fare. Quando sono rientrati in Arcevia tutti volevamo sapere, e quando ci dissero che era vicino al mare, fummo contenti. E quando si va? Quando si parte?
Presto, saremmo partiti molto presto.Mia madre perchè come insegnante doveva prendere servizio quanto prima, noi figli perchè dovevamo andare a scuola senza perdere troppi giorni.
Ciò che fino a quel momento mi era apparso come una specie di brutto sogno che però-pensavo- non avrebbe mai preso forma, in quel momento diventava una concreta realtà.
Dovevamo andare via, partire, lasciare il paese dove ero nato, dove avevo frequentato l'asilo e poi le scuole elementari, dire addio agli amichetti, alle abitudini della vita quotidiana, alle libertà che quel paese tranquillamente consentivano senza limiti e senza rischi. Fuori dal traffico, in cima a un monte, strade e piazzette sempre a disposizione per giochi e scorribande, prati, giardini, boschi, un paradiso per noi bambini. Lasciare gli amici. Non riuscivo a capacitarmi, non sapevo proprio come avrei potuto fare; e poi i vicini di casa, sempre allegri e simpatici, il meccanico che aveva l'officina poco distante da noi e che mi permetteva di salire sulle auto dove facevo finta di guidare, il falegname che mi regalava sempre pezzetti di legno per fare pistole e fucili; ma poi i nonni e gli zii, buoni, generosi, sempre pronti a lasciare qualche lira nelle mie mani, a portarmi ai giardini e farmi passare il tempo.
Cosa avrei fatto in una città che non conoscevo e dove non avevo amici?
Passavano veloci le ore, la casa era un frenetico via vai, un preparare cose, pacchi, bauli, il tutto da portare a Fano. E più si avvicinava l'ora della partenza e più l'atmosfera diventava confusa ed elettrica. Forse ero l'unico che non accettavo con allegria quel distacco. Ed anche i nonni, che abitavano proprio accanto a noi( i due appartamenti erano comunicanti), li vedevo seri, pensierosi, dispiaciuti; anche loro dovevano dire addio alla compagnia di figli e nipoti, al piacere di averci vicino tutto il giorno, alle chiacchiere, ai pranzi e cene insieme, in ogni occasione; sarebbero rimasti soli.
Poi arrivarono l'ora e i giorno della partenza. I vicini di casa, che avevano un bellissimo giardino, ci invitarono per un rinfresco di saluto, con paste e bibite, risate ( un pò forzate), raccomandazioni ed incoraggiamenti. Ultimi saluti: i nonni nel terrazzo a dirci arrivederci con la mano, i conoscenti per strada e...via con l'auto che andava fuori del paese.Guardavo dal vetro e vedevo sfilare velocemente i luoghi della mia fanciullezza, gli alberi, le case, la campagna. E via via...Senigallia e poi la larga e luminosa strada per Fano. Quanto era diverso il paesaggio! La strada piena di automobili e autocarri, chiasso e rumori di ogni genere, niente più colline e verde.
Arrivammo a casa nuova, dalle parti del mare( che avrei visto però solo qualche giorno dopo) io stanco e triste, una grande confusione, un arrangiarsi alla meglio per cominciare una nuova vita. Mi sembravano immense le distanze da casa a scuola, grandi le strade rispetto ai vicoli e le stradine di Arcevia, vuota la giornata senza amicizie. E un parlare diverso, un accento diverso, un dialetto quasi incomprensibile e che però tutti parlavano.
Una delle cose che mi restò più difficile digerire? Il passaggio dei treni sui binari che erano a poche decine di metri. Notte e giorno, soprattutto notte!Quant'era diverso da Arcevia, silenziosa e tranquilla.
Non è stato facile ma poi il mare ha fatto miracoli.
nella foto: la casa di Arcevia dalla quale siamo partiti per venire ad abitare a Fano
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