Nella notte di un giorno di luglio
un santo, sporgendosi dal cielo
piange scuotendo la testa
mentre guarda verso la terra,
puntando lo sguardo in un luogo
a sud di Pesaro e a nord di Senigallia
e fa segno che non c'è più
nulla da fare, neanche con i miracoli;
per le strade, le piazze, i vicoli del paese
la gente corre, accorre, pedala
per partecipare alla festa e giocare
un vecchio passatempo chiamato
tombola. Fiumane di paesani,
ospiti e confinanti del territorio
riempono tutti gli spazi liberi
mangiando, bevendo, fumando,
gozzovigliando, sorbendo gelati
e dolci di ogni tipo.
Dal cielo, dove il santo ancora lacrima,
il tutto appare come un gigantesco
formicaio impazzito, mosso senza
regole e senza disciplina.
Nella piazza centrale troneggia
un grosso palco da dove
verranno annunciati i numeri estratti
per combinare nelle cartelle
quaterne, cinquine e tombole.
Il santo non ha parole, vorrebbe
rivolgersi a Chi è più alto di lui
ma sa già che sarebbe inutile;
persino i frati partecipano alla festa!
Non c'è più religione, mormora
il santo e mentre mormora
estrae da una sacca, che porta
a tracolla, due cartelle con i numeri:
"tanto oramai ci sono...
e se vinco mi ritiro, parola di santo!"
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